- Paolo Ojetti - voce
- Daniele Galassi - chitarra
- Christian Morbidoni - chitarra
- Alessandro Infusini - basso
- Alessandro Vagnoni - batteria
1. I Always Lay Beneath
2. Crawl
3. The Unpurifier
4. The Frozen Claws of Winter
5. Insane Vein Invading Inner Spaces
6. Fleashapes
7. The Punishment
8. Blood Spilled for a Spell
9. Fear of the Dark
Beholding The Unpure
Riecco gli Infernal Poetry, affermatissima band Death italiana, comparire di nuovo nella scena metal nostrana con questo terzo lavoro (se si considera lo split album Twice con i Dark Lunacy), Beholding The Unpure. Ancor più particolare, ricercato e sperimentale del precedente full-lenght Nothing But Rather Visible Darkness, il nuovo prodotto della band marchigiana è un esperimento sonoro ai limiti della percezione, un capolavoro di death infuriato, frammenti prog e una schizofrenia compositiva mai così intensa e radicata. Il cambio di pagina è netto, sgargiante, per certi versi sublime, soprattutto nel momento in cui si mette in relazione il lavoro dei nostri con la maggior parte degli act estremi della penisola stivale.
Nonostante Beholding The Unpure risulti essere meno brutale della prima uscita, rende subito e al meglio la nuova proposta della band, ostentando uno stile incredibilmente rinnovato, granitico (i palesi riferimenti meshugghiani di Crawl), tecnico (I Always Lay Beneath, Insane Vein Invading Inner Spaces) ma non per questo privo del solito, decadente piglio melodico e atmosferico di cui la splendida The Unpurifier è l'espressione più convincente e toccante.
Sebbene possa risultare fin troppo massiccio e intricato, Beholding The Unpure è un disco stracolmo di raffinatezze e di un'indole sperimentale d'assoluto valore, presente tanto nei momenti più aperti (Flashapes) quanto in quelli più tesi e disturbanti (Blood Spilled For A Spell).
Nonostante l'evitabilissimo finale (la rivisitazione di Fear Of The Dark della vergine di ferro poteva essere risparmiata tranquillamente), il disco non fatica minimamente a catturare l'ascoltatore con il suo mood instabile e le sue continue evoluzioni melodico-ritmiche, sempre all'insegna di un ideale artistico nuovo e ricercato, che affonda le sue radici nelle frange più estreme e cerebrali del metal europeo, tirandone fuori un affresco schizoide e soffocante: un trip nel manicomio dell'inconscio, una discesa nell'impurità dell'essere umano stesso.
Assieme a qualche altra misera manciata di band, gli Infernal Poetry hanno dimostrato per la seconda volta di essere il vero fiore all'occhiello del metal estremo nostrano, di una scena che - molto probabilmente - senza l'apporto del gruppo marchigiano adesso non conoscerebbe una delle sue pagine più ricercate ed affascinanti. Complimenti.