- Andrè Kvebek – voce, chitarra
- John Espen Sagstad - chitarra
- Tor Risdal Stavenes – basso
- Dan Theobald – batteria
- Liv Julianne Kostøl - violoncello
1. Origin Of Sin (04:47)
2. The Wanderer And His Shadow (04:54)
3. Cyanide Storm (05:02)
4. Coming To An End (06:26)
5. Shedim (04:25)
6. Where Angels Burn (05:16)
7. My Curse (08:13)
8. Chaos Incarnate (03:13)
The Wanderer And His Shadow
Un gruppo norvegese, un disco black metal. Il sillogismo pare essere fin troppo scontato, tanto da rispecchiare la realtà. Andrebbe aggiunto che si tratta di una band composta da membri di altri combo (come Seidemann dei 1349, qui col suo vero nome Tor Risdal Stavenes), autrice di un black ragionato e non particolarmente aggressivo, e probabilmente si potrebbe evitare di andare oltre. Ma siccome bisogna pur fornire qualche informazione al malcapitato lettore, è il caso di spingersi un po’ più in là ed approfondire il discorso sul secondo full-length dei Pantheon I, che esce ad un anno di distanza dal debut Atrocity Divine.
The Wanderer And His Shadow è uno di quei dischi che, quando inserisci nel lettore e pigi play, ti dà immediatamente la sensazione di essere scialbo, senza se e senza ma, per poi guadagnare a tratti attenzione prima di cadere nuovamente nel calderone dei dischi ascoltati e mai più ripresi. La tipologia dei suoni, soprattutto quelli di chitarra, ricorda in taluni frangenti quella tipica di gruppi quali i Dark Funeral, ma le somiglianze finiscono qui, visto che il genere proposto è piuttosto distante. I Pantheon I, difatti, preferiscono al blastbeat ed all’assalto furioso (i cui unici esempi sono l’incipit di Cyanide Storm, Where Angels Burn e Chaos Incarnate) ritmiche più ragionate, cadenzate, a volte addirittura alle soglie del doom, per via di riff granitici ed andamenti funerei: buon esempio di ciò è dato da Coming To An End, impreziosita dalla partecipazione vocale di Lazare Nedland dei Solefald, il cui trademark è facilmente riconoscibile nelle parti centrali e finali del brano. La produzione dell’album è nel complesso soddisfacente, e lì dove serve riesce a creare il tipico wall of sound grazie ad un settaggio piuttosto alto dei volumi delle chitarre e del basso e ad un buon mixaggio della batteria, particolarmente curata. Un aspetto da sottolineare, e probabilmente l’unico risvolto originale della proposta musicale dei Pantheon I, è la presenza nella formazione di una violoncellista. Peccato che l’utilizzo di tale strumento sia relegato solo a pochissimi passaggi, ed in generale sia del tutto privo di peso nell’economia del disco.
In definitiva, sebbene risulti apprezzabile il tentativo di differenziarsi rispetto alla stragrande maggioranza delle band che, oggigiorno, suonano black, The Wanderer And His Shadow non riesce a stimolare interesse ed a catturare l’ascoltatore, pur avendo il merito di essere sufficientemente vario. Ma a mancare sono le idee di fondo, le soluzioni davvero fresche, e ciò finisce inevitabilmente per ledere alla qualità complessiva del disco, che scivola via lasciando poche tracce del suo passaggio.