- Skjeld – Necrospells
- Malfeitor – Funeralstrings
- Winterheart - Skulls
1. Misere Nobis (11.06)
2. Lamento Larmonant (09.56)
3. Cold Void (07.32)
4. Exitus Letalis (11.50)
Nyktalgia
L’omonimo debutto dei Nyktalgia va ad aggiungere un altro gruppo alla ormai folta schiera depressive, costituita da alcune band eccelse, in grado di comporre veri capolavori (come ad esempio i Forgotten Tomb), e alcune che non sono altro che cloni dei vari Burzum, Abyssic Hate, Bethlehem o Silencer. Questo trio tedesco si piazza più o meno in mezzo a queste due categorie, proponendo un Black Metal di discreta qualità, ma che risulta molto difficile da accostare alla parola “originale”. Le influenze maggiori si trovano soprattutto con i primi album di Burzum, sia musicalmente sia nello screaming, molto simile a quello del conte, ma sicuramente meno “efficace”. La produzione ricorda maggiormente invece quella del grandissimo Suicidal Emotions degli Abyssic Hate, ma anche qui non si raggiunge certo il livello della fonte da cui si attinge.
Il disco è composto da sole quattro tracce, ma si raggiungono comunque i 40 minuti di durata, vista la lunghezza media dei brani. La struttura delle canzoni, seguendo la “regola” del depressive meno sperimentale, non è molto articolata, con pochi riff per canzone, ripetuti varie volte, e forse troppe.
Si parte con Misere Nobis, sicuramente uno dei capitoli riusciti meglio di Nyktalgia, se non proprio il migliore. Più simile agli Abyssic Hate rispetto agli altri brani, Misere Nobis è composta da ottimi riff e una prestazione vocale abbastanza buona, anche se non carica di odio come altri screaming. Buona anche la parte ritmica, che aggiunge varietà, visti i diversi cambi di tempo. Non cambiano molto invece i riff, ma almeno in questa traccia si raggiunge piuttosto bene l’obbiettivo di non annoiare l’ascoltatore. Obbiettivo in parte mancato invece nelle altre tre composizioni, come evidenziato dalla successiva Lamento Larmoyant, che vede uno screaming ancora più simile a quello di Varg Vikernes. Anche la parte musicale è di ispirazione “Burzumiana”, abbandonando in parte le somiglianze con gli Abyssic Hate ritrovate nella precedente traccia. I riff di questo brano però non sono eccezionali, e anche i ritmi sono un po’ troppo monotoni. Non è certo una canzone scadente, raggiunge la sufficienza anche questa, però risulta lievemente noiosa in alcuni punti, e non riesce a trasmettere quella depressione che infondono invece altri album.
Arriva ora uno dei brani più violenti, Cold Void, ma la velocità non basta a farne una grande composizione. Il livello, infatti, è più o meno lo stesso della traccia appena finita, e, pur assestandosi su tempi diversi, anche qui i difetti sono gli stessi; riff un po’ anonimi, melodie eccessivamente ripetitive e troppo poco originali che stancano presto l’ascoltatore, e che non riescono a creare l’atmosfera disperata cercata. E anche con la conclusiva Exitus Letalis non si cambiano molto le carte in tavola, nonostante il brano sia leggermente migliore rispetto ai due centrali. Per brevi tratti fanno inoltre la loro comparsa anche le chitarre acustiche, che tessono alcuni arpeggi interessanti sopra la furia dei blast beats. Per il resto della traccia si riabbracciano gli stessi schemi proposti finora, con discreti riff e una prestazione vocale figlia di quello che viene considerato da molti come il “creatore” del filone depressive, il leader del progetto Burzum.
Insomma, un album sicuramente discreto, penalizzato dalla mancanza di originalità, ma che fa ben sperare per il futuro, visto che questa era la prima vera prova del gruppo. È comunque un lavoro degno dell’interessamento degli amanti del Black più lento e triste, che troveranno un prodotto magari non all’altezza di alcune recenti uscite in questo campo, ma che contiene diversi spunti interessanti.