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- Rossana Landi – voce
- Bradac – piano, sintetizzatore, sampling & programming
- Afelio – voce, chitarra, sampling & ethereal cascabels
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1. La Conversione di Shani
2. Malìa
3. Mèlisse
4. Polvere d’Ireos
5. Lana
6. La Danza Del Ragno di Cristallo
7. Shiva Li Nève
8. Niveàre
9. Anima Sciolta
10. Mandiàla
Miele Dal Salice
Quando si entra in contatto con realtà musicali speciali, si può solo sperare nell’immediata realizzazione del seguito del lavoro che aveva così entusiasmato e colpito. Questo è proprio quello che succede con i Dismal, con il loro capolavoro passato Rubino Liquido e con l’attesissimo Miele Dal Salice. Il terzo capitolo di una discografia, che, sviluppandosi, si sta se non altro guadagnando l’attributo “unica”, compie il suo ingresso sul mercato musicale nazionale ed europeo nel 2007, dopo quindi un meritato riposo dal lavoro del precedente full-lenght (2003/04).
Rockline ha avuto l’onore e la fortuna di poter conoscere fin da quella data la band torinese capeggiata dal duo Bradac-Afelio, e di poter così proseguire su un cammino parallelo a una carriera che ci si augura in continuo crescendo.
Guardando innanzitutto alla line-up si nota una new entry per la voce femminile, interpretata nel passato disco dall’incantevole Ae e resa invece qui con carattere e grande professionalità da Rossana Landi. Proseguendo con dati e particolari significativi, merita un cenno di lode il bellissimo artwork, che anche in questo platter ci anticipa in modo emblematico il carattere del disco. Toni cristallini, eterei, raffinati, a volte barocchi, sono ormai un must del sound Dismal, il quale si presenta in Miele Dal Salice ancora più teatrale, onirico, immaginifico.
Il disco è composto dunque da dieci tracce perfettamente allineate con la tradizione sonora dei passati lavori, ma che qui si arricchisce di maturità espressiva e di una ancor maggiore raffinatezza. Sono quarantacinque minuti sofisticati che passano fluidamente, senza segni di discontinuità, ad esempio tra l’uso di tre lingue, italiano, inglese e francese, e che si allontanano ulteriormente dalle soluzioni sonore più estreme del genere gothic. Si direbbe infatti che gli sprazzi metal siano ormai scomparsi quasi totalmente, proseguendo dunque il lavoro stilistico di Rubino Liquido. D’altra parte il sound si arricchisce di una molteplicità di suoni e colori che vanno dal gotico al cabaret, dal malinconico all’orrorifico. Il mood assume perciò una connotazione decisamente ethereal, toccando punte di creatività pregevole in parti da colonna sonora (Shiva li nève). Non si trattava dunque di un’esagerazione, quando nella recensione del precedente disco, avevamo azzardato l’idea di un ipotetico narrative metal.
A prova di questa tesi, tengono banco praticamente tutti i brani, che, a questo proposito, appaiono monolitici, oltre che caratterizzati da una lavorazione perlacea, ma questa volta più calda e sofisticata di Rubino Liquido. Fin dall’intro, La Conversione di Shani, cantilene corali in stile orientale – annuncianti proprio il titolo dell’opera – si infrangono lievemente su sitar ed effetti arabeggianti. Da qui Malìa, uno dei brani più rappresentativi dell’opera, ci introduce in atmosfere fiabesche, ai limiti del reale, attraverso gli immancabili fraseggi di violino, strutture ritmiche fortemente scandite di batteria (le più accentuate dell’album insieme a quelle quasi trip-hop di Anima Sciolta), accordi acustici di chitarra e, a coronare il tutto, note di carillon. Concettualmente la successione dei brani è meno vincolata al suo interno della tripartizione teatrale di Rubino Liquido (maggiore punto di contatto con questo è la conclusiva e leggermente inquietante Mandiàla); nonostante ciò si può notare come il cuore dell’album corrisponda anche alla parte emotivamente più magica e profonda, oltre che malinconica ed evocativa.
Espressione di questo procedimento sono Niveàre (meravigliosi il monologo maschile e la voce di Rossana in chiusura) e l’introspettiva Mèlisse – narrazione sulla ninfea scopritrice del miele – grazie a un susseguirsi altalenante di toccanti giri di piano e di violini dal carattere piuttosto provenzale. Anche Polvere d’Ireos, forte dei suoi floreali mutamenti interni e dei cori lirici (con parti anche parlate), testimonia una rara ricchezza del songwriting, che riesce nell’epica impresa, di fondere insieme lirica, teatro, interferenze elettroniche e componenti acustiche.
Emerge un gusto spiccato per il preziosismo sonoro, abilmente tradotto in immagini ed emozioni: niente del materiale dentro questo disco è stato messo a caso o per mero sfoggio creativo. Potenziando tale aspetto, l’album perde però una dose di quella naturalezza che stava alla base del full-lenght passato. Il merito dei Dismal, senz’altro loro prerogativa, rimane comunque la capacità di creare un mondo ricco di simboli, profumi, sensazioni, in cui si intrecciano le magnifiche liriche – composte da Afelio – e il tessuto sonoro. L’uno privo dell’altro non godrebbe di autonomia. Questa assortita geniale dunque è il punto su cui giustamente la band preme di più, ma che al contempo li innalza isolandoli ulteriormente a genere speculativo. Definire i Dismal come musica impegnata e impegnativa non è certo sbagliato, ma d’altronde non rende nemmeno giustizia a una profondità concettuale estremamente godibile, che da Rubino Liquido prosegue su un cammino da pochi intrapreso.