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- Peter Murphy - voce
- Daniel Ash - chitarra
- David J - basso
- Kevin Haskins - batteria, percussioni
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1. Dark Entries
2. Double Dare
3. In the Flat Field
4. God in an Alcove
5. Dive
6. Spy in the Cab
7. Small Talk Stinks
8. St. Vitus Dance
9. Stigmata Martyr
10. Nerves
11. Telegram Sam (cover T.Rex)
12. Rosegarden Funeral of Sores (cover John Cale)
13. Terror Couple Kill Colonel
14. Scopes
15. Untitled
16. God in an Alcove
17. Crowds
18. Terror Couple Kill Colonel (remix)
In the Flat Field
Se oggi esiste il genere gothic e se gode di autonomia, oltre che di una propria identità culturale, in gran parte lo si deve ai Bauhaus e al loro lavoro pionieristico, se non addirittura profetico, grazie al quale si conciliarono le conquiste di band come Siouxsie & the Banshees e Joy Division. I quattro ragazzi di Northampton, formatisi nel ’78 a partire dal nucleo portante dei fratelli Haskins, in seguito a tre singoli di successo – di cui il primo Bela Lugosi’s Dead aveva già fatto presagire il profumo di rivoluzione musicale – realizzano nell’ottobre del 1980 lo storico e immacolato In the Flat Field. Con esso sorge una nuova epoca e si concretizza un modo di intendere la musica innovativo, di cui i Bauhaus si ergono a emblema. Tutto ciò accade oltretutto a breve distanza dalla morte del grande vocalist Ian Curtis (maggio dello stesso anno), quando l’esordiente voce della nascente darkwave, Peter Murphy, si assume la responsabilità di trainare a forza di cantato la band e quindi la sua musica.
Il disco, ristampato in versione estesa nel 1998 (per la recensione prendiamo a modello questa ultima versione), si presenta, ancora dopo più di venticinque anni, fresco di una straordinaria dose innovativa e dell’energia tipicamente eighties che colorava a tinte chiaro-scuro un sound tipicamente cabarettista. Reduci dall’immortale esperienza del Duca Bianco (alias David Bowie), dal frenetico sound di un punk inglese ormai tramontato, dal Rocky Horror Picture Show e dalla letteratura gotica, in forte espansione in quegli anni, il combo inglese vanta un carisma inedito, che si traduce subito con il roboante brano d’apertura, Dark Entries.
Partendo dal suddetto substrato musico-culturale, il bassista, nonché cofondatore David J, si assume il peso della struttura armonica e melodica, coadiuvato dal fratello Kevin, alle prese con sessioni ritmiche di percussioni e batteria fortemente scandite e dinamiche. Il movimento è certamente il concetto centrale di questo genere nascente; ogni riff e linea strumentale sono pervase dalla volontà di muovere energicamente l’ascoltatore, di scuoterlo. Non occorre poi ricordare come lo sfondo sociale della darkwave fosse di diretta derivazione punk e come la musica stessa fosse pervasa da quel senso di esaltazione ed euforia strettamente connesso al consumo di narcotici.
Da qui il tessuto sonoro viene impreziosito dalla splendente e intrigante tonalità vocale del vocalist Murphy; lui per primo, grazie a un’estetica provocatoria ed estrema (cerone bianco sul viso, corpo scheletrico, ali da pipistrello), incarna contemporaneamente la figura del cantante di talento e quella del personaggio da spettacolo. Qui la dimensione della musica e del teatro procedono parallelamente, sperimentando soluzioni originali come la generazionale title-track, espressione di un dark veloce e tagliente, o la misteriosa e cristallina God in an Alcove. Ancora più bella, malinconica e riflessiva, si staglia la straziante Spy in the Cab, ricca di suoni distorti e inquinati.
Il contrasto tra il suono pulito, la voce chiara e un disturbo, misto all’apparente casualità di certi interventi strumentali, diventa il segreto portante della musica dei Bauhaus. La dimensione dell’asimmetria e la mancanza di regolamentazione sonora (St. Vitus Dance, Stygmata Martyr, Nerves) permettono un sound unico nel suo genere e un mood di un dinamismo raro, diventando così gli elementi stilistici basilari del genere. A volte poi, compaiono brevi giri di piano che contribuiscono in modo efficace alla costruzione di atmosfere barocche e gotiche. A chiudere infine un disco davvero immenso per pregi e qualità, sta Terror Couple Kill Colonel, la narrazione dell’uccisione di un colonnello della Germania Ovest.
Con ciò, attraverso momenti raffinati, parti di pura adrenalina, sessioni ritmiche mozzafiato e sprazzi di lucidità (come in Crowds), i Bauhaus, probabilmente senza accorgersi di ciò a cui stavano dando vita, realizzano un primo album che definire storico è riduttivo. Con In The Flat Field i Bauhaus gettano le basi del gothic, spalancando le porte dei nascenti anni ’80. E’ questo il punto di partenza per novità successive o appena contemporanee che rispondono a nomi di Killing Joke, The Cure, Sisters of Mercy e Christian Death. Non c’è che dire: indimenticabile.