Vintersorg – Voce, Chitarre, Liuto su “ När Älvadrottningen Kröns ”
Mattias Marklund – Chitarre
Cia Hedmark – Violino, Voce
Fredrik Nilsson – Batteria
Daniel Fredriksson – Basso, Flauto, violino sintetizzato, mouth harp, liuto
Guest Musicians:
Linda Bjorkman – Flauto
Tviller – Kulning su “Gygralock”
1. Trollslottet
2. Vilievandring
3. Galdersbesjungen
4. När Älvadrottningen Kröns
5. Bäckahästen
6. Årstider
7. Mossfrun Kölnar
8. Vättar Och Jättar
9. Holy Diver
10. Lövjerskan
11. Varulvsnatt
12. Gygralock
Sagovindars Boning
Sagovindars Boning (La dimora dei venti delle favole) è il secondo e, purtroppo, ultimo lavoro di Vintersorg & compagni. In ordine cronologico è anche l’ultimo lavoro che Vintersorg dedicherà al folk; successivamente si dedicherà al metal sperimentale, dapprima con la sua band omonima e successivamente con i Borknagar, posponendo le registrazioni del terzo disco degli Otyg (Djävulen), fino a quando, nel 2002, metterà definitivamente a riposo gli Otyg, destinati a entrare nel limbo delle band prematuramente scomparse.
Torniamo a Sagovindars. Persi per strada il co-fondatore Stefan Stromberg (batteria) e Samuel Norberg (munnharpe), dopo la release di Alvefard, gli Otyg trovano un nuovo drummer in Fredrik Nilsson, mentre il bassista Daniel Fredriksson si occupa a questo punto dell’arpa a bocca, nonché degli altri strumenti folkoristici.
Con la nuova line up gli Otyg registrano il loro secondo full, sempre ai Ballerina Studios, e sempre utilizzando i disegni di Theodore Kittelsen come artwork, dimostrazione di un dichiarato amore per le storie e le opere della Scandinavia.
Se possedete Alvefard e siete incuriositi, non abbiate timore: questo Sagovindars Boning è qualitativamente di pari livello.
Le idee giuste ci sono, la realizzazione anche: il disco è ben suonato (anche meglio del predecessore) e scorre piacevolmente per tutti e 51 i minuti; inoltre la produzione è ancora una volta di alto livello, e valorizza tutti gli strumenti.
Lo stile è simile e differisce solo in pochi particolari marginali, quali il maggiore utilizzo dei flauti e della voce di Cia, o un approccio che a volte predilige maggiormente il rock/metal rispetto al predecessore.
Per tutto il resto –punti di forza e di debolezza- valgono gli stessi discorsi fatti per il precedente Alvefard.
Un disco che ha nelle melodie il suo punto di forza: eccellenti quelle dell’opener Trollslottet, una delle canzoni più belle del gruppo svedese: splendido il riff, azzeccato il refrain semplicissimo, puntuali e precisi gli interventi del munnharpe.
La successiva Vilievandring è veloce nelle strofe quanto pacata nel ritornello, interpretato con la consueta grazia dalla voce di Cia Hedmark.
A Galderbesjungen, esaltante nel suo assolo di flauto e accattivante nel suo lungo ritornello, segue la ballata När Älvadrottningen Kröns (“Quando la regina delle fate viene incoronata”), la quale abbassa decisamente il ritmo: un brano molto dolce soprattutto nel refrain in cui un soave coro sostiene discretamente il vocione di Vintersorg.
La ritmata e coinvolgente Bäckahästen è aperta dalle percussioni di Nilsson e dal violino di Cia: inconfondibile la melodia del ritornello, che porta Bäckahästen a essere uno degli highlights del cd.
Altro ottimo brano è la seguente Årstider, atipica in quanto è Cia a cantare le quattro strofe, che dipingono, nell’ordine, estate, autunno, inverno e primavera.
Mossfrun Kölnar è aperta da violino, liuto e munnharpe, tutti strumenti che scompaiono durante le strofe, in cui sono le chitarre a dettare legge, indirizzando il brano in una direzione più ripetitiva e leggermente meno folk: la grande interpretazione di Vintersorg sopperisce a questo “difetto”, mentre gli ottimi stacchi melodici strappano consensi come al solito.
La seguente Vättar Och Jättar (Gnomi e Giganti) è forse l’episodio meno ispirato, ma ha comunque bei momenti, con ampio spazio per il flauto e il munnharpe durante gli stacchi (decisamente più privilegiato nel mixing generale questa volta) e un buon chorus.
Holy Diver è la sorpresa del disco. Sì, avete letto bene, proprio il classico di R.J. Dio! Gli Otyg lo riarrangiano a modo loro e lo interpretano aggiungendo munnharpe e violini. La performance di Vintersorg è ovviamente quanto di più distante possiate immaginare rispetto a quella di Ronnie: interessante anche sentire Vintersorg cantare in lingua inglese, e il buon Andreas se la cava egregiamente.
Holy Diver spezza un po’ l’atmosfera, ma è un brano curioso rivisto in questa maniera, e una buona aggiunta al disco in sé, se vista come “bonus-track”.
Con Lövjerskan torniamo fra foreste, streghe, fate e folletti: Cia è ancora una volta chiamata in causa come cantante durante il refrain, momento topico del brano stesso.
Varulvsnatt (la notte dei lupi mannari) è un buon pezzo con un eccellente cambio d’atmosfere nel finale –ottimo l’assolo del violino-, più aggressivo e cupo della parte iniziale, che invece si fa notare per un refrain ben congegnato, con le voci di Vinterosrg e Cia che cantano assieme.
L’eccellente Gygralock chiude: lenta e triste, vuole essere la Skymingsdans di Sagovindars Boning e ci riesce bene, ricordandola anche nella struttura (acustica nelle strofe, elettrica nel ritornello). Un fischio stridulo che risuona, solitario, nella notte scandinava fa calare il sipario su questa ultima fatica degli Otyg.
Con Sagovindars Boning diamo l’addio agli Otyg e al “primo” Vintersorg: questo disco è gemello di Alvefard, e merita l’acquisto da parte di chi ricerca emozioni in un genere che coniuga la modernità del metal a armonie che profumano di antico.