- Jacob Bredahl - voce
- Massimo "Max" Gajer - chitarra
- Roberto Gelli - basso
- Stefano Longhi - batteria
1. Are You Ready? (Ready For Your Massacre)
2. Superhero Motherfucker Superman
3. Hey J
4. I�m Not The One
5. Demons Town
6. Soul Man
7. Big Money, Sweet Money
8. The Devil, Me, Myself And I
9. Hell On Earth
10. The King Of Pain
11. Amen
Pain Is the Game
Fratelli e sorelle, siamo qui riuniti per celebrare il secondo album degli Allhelluja, band italo-danese che l’anno scorso stupì tutti con Inferno Museum, album in grado di dimostrare di non essere stato pubblicato solo grazie alla presenza di uno dei responsabili della Scarlet nelle sue fila (Stefano Longhi) ma per l’indiscutibile qualità della musica. Siete tutti invitati ad assaporare questa ventata di aria polverosa e desertica, intrisa di Stoner dai risvolti Thrashy e a volte persino Hardcoreggianti. L’approccio è diretto, privo di fronzoli vari, una sincerità musicale che si nota facilmente in questi 40 minuti circa di dirty rock ‘n’ roll dal gusto Southern. Questo approccio in your face è supportato ottimamente da Jacob Bredahl (Hatesphere e Barcode), il profeta parlante del gruppo, il quale sembra quasi miracolato: le linee vocali sono ottimamente costruite su melodie che si stampano in testa e altrettanto ottimamente interpretate con aggressività ed enfasi. Prova di forza per il danese che qui dimostra di essere capace di andare oltre gli urlacci sguaiati. La sua prova è intensa, la sua voce melodica ma grezza.
Ma non indugiamo oltre, a titolo dimostrativo aprite questo libretto di canti liturgici a pagina 1, si, proprio lei, Are You Ready? (Ready For Your Massacre). Come si può non restare stregati dal ritornello? Restare indifferenti a questa sana carica di rock sporco e minimale, ma proprio per questo efficacissimo, è impossibile. Non manca nulla, stacchi ad hoc, riffs diabolici, chitarre fischianti, parti cadenzate…il tutto con un suono buonissimo e abbastanza personale. Passiamo a Superhero Motherfucker Superman; le coordinate sono le stesse, la qualità rispetto alla prima traccia riesce addirittura ad aumentare. Anche in questo caso le linee vocali sono eccellenti e vi rimarranno in testa fin dal primo ascolto. Già a questo punto si fa fatica a credere che un album così riuscito e dal sound così fottutamente rock n roll sia stato partorito in suolo italico. Da qui in poi non c’è un solo calo di tensione, Hey J è uno schiacciasassi che avanza a velocità limitata ma implacabile, I Am Not The One è un invito all’headbanging che non si può rifiutare, Demon Town schiaccia il piede sull’acceleratore e grazie al suo tiro impressionante risulta essere una delle migliori del lotto. Zero cali, tutta musica che sa di sudore, di polvere, di fatta col cuore. Lo stacco maligno di Soul Man (che tra l’altro porta molto bene il suo nome) aspetta poi l’ascoltatore al varco, permettendosi anche di parafrasare la celebre You Can Leave Your Hat On di Joe Cocker. Insomma le coordinate dovrebbero esservi chiare ormai, anche perché il disco è molto omogeneo e da qui in poi stilisticamente nulla cambia, nemmeno la qualità. Ed è forse proprio questo che gli infedeli potrebbero trovare come maggiore difetto di questo album, le canzoni si assomigliano molto: tolti elementi distintivi come la velocità la base è sempre la stessa. Si potrebbe rispondere che i Motorhead sono 30 anni che vanno avanti con una mentalità simile e nessuno si è mai lamentato. Insomma gli Allhelluja procedono implacabili fino all’ultima traccia, l’outro strumentale Amen, la messa è finita andate in pace, e probabilmente con il collo taurino provocato dall’headbanging.
Ottimo secondo episodio discografico per questa band, atipica per gli standard di una scena che predilige il power e il black come quella italiana. Se amate i Kyuss, la ruvidezza dei Motorhead, il death n roll degli Entombed o se semplicemente la mattina fate colazione fate colazione intingendo i vostri Pavesini nel Jack Daniels date una possibilità a questo gruppo, difficilmente resterete delusi. Godiamoci questo Pain Is The Game e aspettiamo trepidanti il seguito sperando in un’ulteriore personalizzazione della proposta di questo gruppo.