- David Shamrock - Batteria, Piano
- Carla Kihlstedt - Voce, Percussioni, Chitarra, Autoharp
- Nils Frykdahl - Chitarra 6 corde e 12 corde, Campane Tibetane, Voce
- Moe Staiano - Percussioni, Effetti Atmosferici
- Dan Rathbun - Basso, Slide Piano
1. Sleep is Wrong
2. Ambugaton
3. Ablutions
4. 1997
5. The Miniature
6. Powerless
7. The Stain
8. Sleepytime
9. Sunflower
Grand Opening and Closing
Ascoltare gli Sleepytime Gorilla Museum vuol dire essere coscienti dell'affacciarsi verso un universo musicale parallelo, diverso, fuori dal tempo e dallo spazio. Lo scenario è quello delle avanguardie artistiche di inizio '900: nichilismo espressionista, delirio paranoico alla Dalì e iconoclasta disordine dada che riemergono col più fragoroso degli impeti massacrando qualsiasi ordine precostiuito, distruggendo canoni e morali, annichilendo qualsiasi barriera e imponendo il proprio dominio in uno spazio nuovo, desolante, per certi versi fantasmagorico.
Nata all'incirca nel 1999, la band originaria di San Francisco pubblica la sua prima opera intitolata Grand Opening And Closing nel 2001, prima folgorante espressione di un linguaggio musicale estremo e d'assoluta sperimentazione, compositiva e concettuale. Definire con un aggettivo lo stile di questi veri e propri funamboli americani sarebbe riduttivo oltre che impossibile, come è allo stesso tempo poco produttivo cercare di accostargli addosso tutti i generi di questo mondo; fatto sta che gli Sleepytime Gorilla Museum sono stati i creatori di un linguaggio e di una vera e propria attitudine artistica shockante e iconoclasta, nuova seppur per molti versi figlia della grande ondata avanguardista del primo post-punk (Pere Ubu, Pop Group, Cabaret Voltaire).
Classica contemporanea, atonalismo, jazz, prog/avant rock, stridenti comparse elettroniche, violini imbizzarriti, ritmiche ustionanti e riff paranoici: Grand Opening And Closing è un vero e proprio circo dell'assurdo, un cabaret contemporaneo di allucinazioni e shock anafilattici (pseudo)melodici: a racchiudere lo spirito del disco ci pensa sin dall'inizio l'opener Sleep Is Wrong, un futuristico e geniale alternarsi di refrain art rock settantiani (prendete per esempio Larks' Tongues In Aspic dei King Crimson) e ritmiche indiavolate quasi meshugghiane, instabili e sincopate. Si necessita altra follia? Altre esplosioni di puro delirio compositivo avanguardista? Siete più che serviti con il solo ascolto di canzoni come The Stain, claustrofobica e impeccabile per atmosfera contorta e (de)costruzione strumentale, o come Ablutions i cui labirinteschi e criptici intrecci tra la voce della singer Carla Kihlstedt e i violini e i pianoforti sottostanti catapultano l'ascoltatore in una dimensione manicomiale, grondante vera e propria malattia mentale.
Come non parlare poi delle sonorità crossover della bizzarra e dinamica 1997, o ancora degli atmosferici meandri scavati dall'ottava Sleepytime, perfetta negli arrangiamenti e immersa in un deviante percorso di ricerca psichedelico-onirica dai devastanti risvolti percettivi: sentieri sonori insani e ipnotizzanti come quelli di Powerless - stilisticamente riconducibile alla opener per gusto retro-futurista - e della folle ma abbagliante Ambugaton, una pura e masscarante martellata cerebrale.
Ma poi, quando arriviamo alla fine del disco e ci aspettiamo l'ultimo, cruciale pugno nello stomaco, ecco che spunta fuori la bellissima e rilassante Sunflower, una perla di quiete strumentale meditativa e come al solito ipnotizzante nella sua atmosfera quasi orientale, un sentiero di perdizione inaspettato e insolito, ma che calza perfettamente col resto dell'album, sciogliendone gli intricati nodi e i più contorti labirinti strumentali in un'eterea atmosfera meditativa.
Grand Opening And Closing è un'opera sconvolgente, asfissiante, claustrofobica, misteriosa, cabarettistica, dall'incredibile fascino istrionico: un passaggio segreto verso giardini artistici si esplorati prima d'ora, ma mai con codesta forza espressiva e con questi shockanti stimoli visionari. Un vero e proprio puzzle di elementi musicali provenienti dalle più disparate galassie, qui riunite e mixate in uno stile esasperato e dadaista, ma al contempo estremamente compatto, coerente e tutt'altro che dispersivo. Cose dell'altro mondo.