- Chris Boltendahl - voce
- Manni Schmidt - chitarra
- Jens Becker - basso
- Hans Peter ''H.P.'' Katzenburg - tastiera
- Stefan Arnold - batteria
1. Liberty or Death
2. Ocean of Blood
3. Highland Tears
4. The Terrible One
5. Until the Last King Died
6. March of the Innocent
7. Silent Revolution
8. Shadowland
9. Forecourt to Hell
10. Massada
11. Ship Of Hope (bonus track)
Liberty Or Death
Ennesimo colpo centrato da parte dei Grave Digger di Chris Boltendahl. Il singer è ormai un veterano, mastica pane e metallo da decenni, e si vede (anzi si sente) nella nuova uscita firmata dagli scavatombe tedeschi.
Un disco sul tema della libertà, vissuta senza compromessi: meglio morire che rinunciare ad essere liberi, questo è il messaggio che emerge dai testi, a cui si adatta lo stile dei nostri, il solito power/heavy metal dai tempi medi a cui i loro fan sono abituati da anni, con pause di ampio respiro dettate dal andamento spesso pensoso e mastodontico delle ritmiche, qualche leggera digressione di pianoforte, ma senza esagerazione e con ruolo di puro abbellimento, come nella title-track, che apre il platter con il suo andamento pieno di orgoglio.
Non mancano tracce più convincenti per chi si aspetta di sentire riff più arrabbiati e una doppiacassa più impegnata, e pezzi come Ocean Of Blood e The Terribile One, ad esempio, sono qui per questo. Il piglio dei nostri è forte ma non scatenato, fatto soprattutto di ritornelli anthemici interpretati ottimamente dall’inconfondibile voce del nostro Chris, più in forma che mai, e da un linearità nel song-writing che non manca di soddisfare.
E non manca nemmeno qualche rimando un po’ sfacciatamente manowariano, come nei giri di basso e chitarra di Until The Last King Dies, che troverebbe senza dubbio l’approvazione di Joey De Maio. Ma bisogna dire che certi schemi di indubbia scuola power metallara tedesca, a cui i Digger hanno contribuito non poco, sono inequivocabilmente presenti. Senza contare che di canzoni come Highland Tears, che ripropone temi testuali e musicali che sono ormai un classico dei Grave Digger, ovvero l’epopea degli scozzesi e della loro lotta per l’indipendenza, con le cornamuse di Tunes Of War e la magnificenza e il sentimento ruggente dell’album di dieci anni fa, non possono che lasciare il segno.
Ottimi i riff e gli assoli sfornati da Manni Schmidt, classici nella struttura, non pesanti all’ascolto, con rimandi all’hard rock che caratterizzava i primi tempi della band: una canzone come Silent Revolution, in cui Chris tira fuori la sua voce togliendo il filtro di carta vetrata solitamente infilato dentro, non può che rimandare a un sound più vecchiotto, che causerà qualche sbadiglio a qualcuno, ed entusiasmerà, come sempre succede, qualcun’altro.
Giusto per tirare le somme, Liberty Or Death convince senza far gridare al disco dell’anno, e, se proprio si vuole muovere un’accusa, si può dire che la produzione impeccabile e la cattiveria fin troppo controllata, forse perché bilanciata dalla nobiltà dell’argomento trattato, un po’ nuocciono all’impatto di certi brani, che d’altro canto si riveleranno, ci si può scommettere, vere macchine da palco, rendendo i concerti dei Grave Digger ancora può coinvolgenti di quanto già non siano.