- Anders Jacobsson - voce
- Lisa Johansson - voce
- Johan Ericson - chitarra
- Magnus Bergström - chitarra
- Jesper Stolpe - basso
- Andreas Karlsson - sintetizzatore, programmazione
- Jerry Torstensson - batteria, percussioni
1. She Dies (07:28)
2. Through Infectious Waters (A Sickness Elegy) (08:04)
3. The Dying (09:48)
4. Serenade of Sorrow (05:00)
5. The Morningstar (08:01)
6. The Gothic Embrace (08:34)
7. On Sunday They Will Kill The World (Ekseption cover) (04:12)
8. Forever My Queen (Pentagram cover) (02:49)
The Burning Halo
L’evoluzione dei doomsters svedesi Draconian si può raccontare attraverso immagini sbiadite che si avviano dalle esili croci di Where Lovers Mourn, passando per la quercia grigia di Arcane Rain Fell per finire nell’angelo disperato e mesto di The Burning Halo, terzo full-lenght datato 2006. Queste istantanee dell’attività della band scandinava sono rappresentative del genere proposto, un Doom che trova conferma nella tradizione di acts quali primi Theatre Of Tragedy e Lacrimas Profundere, senza dimenticare reminescenze più gotiche e soavi.
Questo The Burning Halo è un disco abbastanza inusuale, che al suo interno contiene solo tre pezzi inediti (She Dies, Through Infectious Waters (A Sickness Elegy) e The Dying), tre brani registrati nuovamente perché tratti dal demo del 1999, The Closet Eyes Of Paradise (Serenade Of Sorrow, The Morningstar e The Gothic Embrace) e due covers finali.
Il sound dei Draconian è rimasto immutato attraverso gli anni, ma è la viva testimonianza di un genere che attrae per la sua drammaticità e la sua tensione: alcune strutture sono diventate sicuramente più incisive ed impetuose, ma la vena compositiva è comune a tutti i lavori realizzati.
She Dies è il classico lento dei Draconian, dotato di cori gotici solenni, ritmo cadenzato, riff massicci, growl penetrante e malinconiche parti di pianoforte: il risultato è una traccia sentita ma non abbastanza innovativa. La vera sorpresa dell’album è costituita da Through Infectious Waters (A Sickness Elegy), veramente malvagia nel suo incedere, nonché ricca di influenze dalla scuola degli inglesi My Dying Bride. Numerose le campionature di sottofondo, come il battito di un cuore, e sospiri oltretombali, numerosi gli interventi folli del pianoforte a descrivere linee contorte ed inquietanti.
Ogni brano è provvisto comunque di una notevole dose di atmosfera, che spezza l’andamento delle chitarre distorte e lascia spazio alla voce di Lisa Johansson: l’alone di Arcane Rain Fell è più evidente in questi momenti che non appaiono alquanto originali, ma che sono capaci di attirare l’ascoltatore con i loro temi melodici (come accade in The Dying).
Per quanto riguarda le tracce del passato rivisitate, un ritorno al Gothic sinfonico è Serenade Of Sorrow, dal ritmo più veloce e dal feeling più diretto e coinvolgente. Gli archi emergono con il loro tessuto e si stagliano sulle chitarre insieme all’intreccio vocale, vero punto di forza dei Draconian: in particolare, il growl, malvagio nel suo approccio, si accosta con efficacia alla doppia cassa di alcuni passaggi, e viene contrastato dalla voce femminile, dominante nei fraseggi distesi.
Anche The Morningstar mette in rilievo le capacità della formazione svedese di creare sinfonie di un certo spessore, nonché ritmiche complesse e strutturate ottimamente.
Per concludere l’album intervengono The Gothic Embrace, suadente nel timbro avvolgente plasmato dalla chitarra acustica e dalla voce di Lisa, e due covers, quella splendida di On Sunday They Will Kill The World (composta dagli olandesi Ekseption, esponenti dell’Art Rock a cavallo tra Sessanta e Settanta) e quella meno valida di Forever My Queen (degli storici Pentragram).
In definitiva, la valutazione di quest’album è difficilissima: il materiale inedito è davvero scarso ma l’uscita contiene musica eccezionale e lontana dalla banalità. I Draconian sono l’astro della scena Gothic/Doom attuale e le diverse uscite di questi anni l’hanno dimostrato chiaramente. Non rimane che augurarsi di poter in futuro considerare questi piccoli gioielli realizzati ad inizio Duemila come classici del genere, perché il seven-piece di Säffle ha potenzialità elevatissime e personalità da esibire.