- Trevor de Brauw - chitarra
- Laurent Lebec - chitarra
- Bryan Herweg - basso
- Larry Herweg - batteria
1. Last Day of Winter (09:36)
2. Autumn into Summer (10:44)
3. March to the Sea (11:37)
4. Untitled (04:43)
5. Red Ran Amber (11:20)
6. Aurora Borealis (04:55)
7. Sirius (05:47)
The Fire in Our Throats Will Beckon the Thaw
A due anni da Australasia, primo full-lenght che ha mostrato al pubblico mondiale le capacità dei quattro musicisti riuniti sotto il moniker di Pelican, la band originaria dell’Illinois nel 2005 ritorna con il secondo capitolo discografico, The Fire In Our Throats Will Beckon The Thaw, che continua la scia Sludge atmosferico/Post Metal del predecessore, concentrandosi solo sulle sezioni strumentali.
Composto da sette splendide canzoni complesse e parecchio elaborate, l’album procede lungo un’ora di intense emozioni musicali, trasmettendo sensazioni di quiete ed immagini oniriche, legate al mondo della natura, che i Pelican portano vivo sia nel loro nome sia nei loro titoli e copertine.
L’alone Sludge si è parecchio attenuato rispetto al precedente album, dando vita ad aperture Post Rock suadenti e per nulla banali: così sono condotte le prime due tracce, Last Day Of Winter e Autumn Into Summer.
L’opener mette subito in rilievo la centralità dei temi melodici delle chitarre clean e distorte, che riprendono in alcuni intervalli la tradizione degli Isis di Aaron Turner, sapendo trasferire un calore unico. Anche nella seconda si notano diversi cambiamenti rispetto al mood tipico di Australasia: una batteria più delicata nelle parti spalmate e più incisiva negli intrecci delle distorte; il sound dei Pelican, dotato di architetture in tonalità maggiore, si distingue dal mix opprimente di effetti e atmosfere creato da Isis e Neurosis, diventando caratteristica innovativa per il genere esibito dal quartetto di Chicago.
Più incline invece a quest’ultimo tipo di timbro è March To The Sea, dove si estremizza l’accompagnamento di batteria e le architetture diventano contorte ed intricate; le chitarre corrono parallelamente, compiendo cavalcate separate e dirette a coinvolgere l’ascoltatore.
Episodio personale è -, sperimentale esempio di uso delle acustiche, suonate a tratti dolcemente e a tratti con impetuosità e vigore: ciò che ne risulta è un brano che alterna diversi registri e livelli sonori e dove le chitarre sembrano costituire la voce portante, ovvero il cantato di cui i Pelican sono sprovvisti.
Da segnalare ancora tra le migliori di The Fire In Our Throats Will Beckon The Thaw la stupenda ballata Post Rock Aurora Borealis, capolavoro tutto equilibrato sui clean e gli effetti delle chitarre, atmosferici e struggenti.
Red Ran Amber e Sirius non rappresentano dei pezzi eccessivamente originali, ma sanno allo stesso modo garantire una direzione consona al contesto dell’album, contemplativo e meditativo.
The Fire In Our Throats Will Beckon The Thaw è quindi una testimonianza importante per lo scenario Post Metal del Duemila, l’album che ha lanciato i Pelican sul mercato internazionale, grazie anche al contratto con la Hydra Head Records di Turner (Isis). Certamente la band di Chicago avrebbe avuto maggiori difficoltà ad esprimersi se non si fosse basata su una tradizione Sludge che ha visto nei Melvins i capostipiti e nei Neurosis ed Isis due grandi esponenti. Le innovazioni portate dai Pelican però sono frutto di un’attenta ricerca stilistica, già intrapresa con Australasia e da considerarsi completata con questo secondo disco del 2005.