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Prince - Voce e tutti gli strumenti.
Matt Fink - Tastiera in “Dirty Mind” e “Head”.
Lisa Coleman - Voce della donna in “Head”.
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01 Dirty Mind (4:11)
02 When You Were Mine (3:44)
03 Do It All Night (3:42)
04 Gotta Broken Heart Again (2:13)
05 Uptown (5:30)
06 Head (4:40)
07 Sister (1:33)
08 Partyup (4:24)
Dirty Mind
Minneapolis, 1980. Il perbenismo dilaga, i repubblicani hanno in pugno anche l'industria discografica. Prince, dopo due album pop-soul decisamente ingenui, sente il bisogno di rivoluzionare l'immaginario collettivo. Essere considerato da tutti un piccolo genio musicale, che suona una ventina di strumenti e si autoproduce un disco intero, non basta. E' con Dirty Mind che il principe diventa sè stesso, esternando allo stesso tempo inquietudine e spensieratezza, raccontando storie al di fuori della comune concezione di decenza, il cui argomento centrale è il sesso. I protagonisti sono quei giovani appunto inquieti che, tra una promessa di verginità sino al matrimonio e l'altra, si trovano a dover fare i conti con pompini, relazioni incestuose e sesso anonimo. Un ‘porno concept’ senza pudore, che riesce ad essere un attacco al perbenismo raccontando dettagliatamente ciò cui molti faticherebbero ad accennare. La casa discografica rifiutò di pubblicarlo e Prince dovette minacciare l’abbandono della carriera musicale affinchè venissero approvate sia la cover (che lo ritrae seminudo davanti ad un materasso ribaltato), che il contenuto.
Anche lo stile musicale è marcatamente distinto da quello adottato per gli album precedenti, è infatti un calderone di post-punk, new wave e funk. Ancora una volta Prince suona tutti gli strumenti in sala di registrazione, escluse le tastiere usate in Dirty Mind e Head, dimostrando di voler plasmare le sonorità dei suoi lavori con le sue stesse mani, e se per altri album si servirà del supporto di band come The Revolution e The New Power Generation, questo non gli impedirà di scrivere tutta la musica e dirigere ogni elemento del gruppo.
Dirty Mind si apre con la title-track, manifesto della 'mente sporca', a cui segue la spensierata When You Were Mine, uno dei pezzi più divertenti e ballabili che abbiano come tematica la fine di una relazione. Ma i brani più interessanti e geniali compongono il lato B del vinile, e sono quelli che mi preme prendere in considerazione. Sono il cuore dell'opera, dopo due numeri poco incisivi tali Do It All Night e Gotta Broken Heart Again, Prince si riprende con una rilettura creativa e personale della musica del periodo, sia essa il post-punk più snob o la funk-dance dai battiti più lascivi.
Uptown, un numero ballabile che ha dalla sua echi decisamente new wave, si apre con un commento di Prince alle prese con una donna particolarmente disinibita, che dopo essersi accertata della sua eterosessualità, decide di 'farselo'. Il pezzo, ricordando i tormentoni tematici della musica nera, esplode poi in un inno alla liberazione sessuale, razziale e sociale. Ma quello che rende Uptown un brano fondamentale è la capacità di adattare il ritmo irresistibile della black music ad un uso degli strumenti chiaramente 'white', new wave. Head è invece rivoluzionaria sul piano contenutistico: è la storia di una sposina che, proprio il giorno del matrimonio, viene ammaliata da un "hunk full of spunk", il quale la rapisce, la inizia al sesso orale e infine eiacula sul suo vestito da sposa (è interessante sentire le testimonianze di americani che ai tempi sentivano questo pezzo nei pub senza sapere cosa significasse in slang 'head', o di giovani a cui tanta franchezza cambiò la vita).
Quelli che seguono sono probabilmente i 90 secondi più isterici e intelligenti di tutto il disco: Sister è un gemito punk di mezzo minuto su un sedicenne troppo ingenuo alle prese con la bellissima sorella, trentaduenne e ninfomane, pronta a educarlo all'arte del sesso per poi lasciarlo al suo destino, divorato da un dilemma morale ma allo stesso tempo bramoso di ritornare tra le gambe della sorellastra. Sister è proprio una chicca che, nonostante la modesta durata, risulta di un'intensità notevole ed è forse la canzone più memorabile dell'album. E’ Partyup, un pezzo funky che sintetizza gli elementi della ‘suite fatale’ (Tracce 5-6-7), a chiudere l’album.
Dirty Mind è quindi il primo vero e proprio album di Prince e uno dei più importanti della sua carriera, perchè segna la svolta da adolescente talentuoso ad artista adulto, in grado di mettere il suo talento al servizio di una creatività che diventerà leggendaria. Un’opera che fa sfociare dentro se new wave e funk, bianco e nero. Prince saprà affinare la sua arte e pubblicherà album da molti considerati capolavori, questo è solo il primo di una serie di grandi dischi che continuerà fino al 1987, anno segnato dal suo capolavoro, “Sign O The Times”.