- Gustavo 'Gus' Adrian Gabarrò - voce
- Tony Fontò - chitarra ritmica
- Danilo Bar - chitarra solista
- Steve Balocco - basso
- Alex Mantiero - batteria
1. Ninth Night
2. Guardians
3. Head Hunters
4. The Ring Of The Ancients
5. Half Moon Path
6. From The Mist
7. Ogam (Mystic Writings On The Stone)
8. After The Battle (...Bottle!)
9. King With The Silver Hand
10. Marching To Alesia
11. Tuatha De Danaan
The Ring Of The Ancient
Il nuovo ed atteso lavoro dei White Skull, una delle band di punta del Power italiano (oltre che una delle più cariche di release), si presenta come una sorta di terzo capitolo di una saga dedicata ai concept incentrati sulle antiche civiltà del passato. Dopo la Roma Imperiale ed i popoli scandinavi, ecco i Celti come protagonisti delle liriche della formazione vicentina. The Ring Of The Ancient parte subito in quarta con l'opener The Ninth Night, veloce, aggressiva e bruciante come il five-piece ci ha abituati, con il suo speed/power di matrice tedesca che vede nella scuola più 'raw' (Grave Digger, Rage degli esordi, Running Wild), la sua spina dorsale. La voce di Gus Gabarrò, al suo terzo album con la band veneta, da però un che di melodico in più, che spinge le chitarre di Tony e Danilo ad alternare le energiche e serrate cavalcate di riff con aperture melodiche molto efficaci e che non corrono mai il rischio di ammorbidire il sound dei White Skull, come nel refrain di Guardians; avvincente ma mai eccessivamente dolce, tanto che si possono fare paralleli come formazioni della scuola power svedese (molto contaminata da quella americana), soprattutto con Afterlife degli Ancient Rites o i Morgana Lefay.
La matrice tedesca, però, rimane il nucleo principale del sound White Skull, nonostante le forti dosi di U.S. Power Metal che si possono trovare in episodi come l'incipit di Head Hunters, molto Metal Church e con refrain che richiamano Omen e fraseggi Helstar dal sapore quasi prog, come in Ogam, senza che si perda il sentiero nelle nebbie (a parafrasare un brano stesso del disco, From The Mist) verso il campo di battaglia, percorso segnato e scandito dalla carica della batteria di Alex Mantiero, lineare e feroce. La new-entry al basso Steve Balocco è, immaginiamo involontariamente, responsabile di un quasi totale plagio con l'inizio di Half Moon Path, dove la sua linea è la medesima di quella eseguita da David Ellefson in Dawn Patrol dei Megadeth: comunque sia, una citazione di gusto e che ben si sposa con il proseguimento del brano, ricco anche di cori epici e battaglieri. Forse questa, assieme alla lieve monodirezionalità della voce di Gus, seppur bella, tagliente e ricca di grinta nel narrare le gesta delle popolazioni celtiche, sono le uniche piccole pecche di un disco comunque entusiasmante per qualità di composizione ed intensità emotiva: ogni tanto aprire anche a livello di linee vocali e cori, come viene fatto per la parte strumentale, sarebbe un coronamento adeguato per una band che fa del gran bel Metal, infuocato e veramente credibile ed in linea con i concept dai lei adottati. Disco da godere totalmente, comunque, e da sentire nelle viscere per la grande genuinità artistica che questa formazione sa regalare. Rovente.