- Nothing - voce
- Waylon - voce
- Stitch - samples
- Skinny - batteria
- Shmotz - tastiera
- Bronson - chitarra
- Gravy - chitarra
- Pig Benis - basso
1. 12 Hundred
2. Simple Survival
3. Damage Done
4. Save Us
5. Tattoo
6. Erase The Doubt
7. Burn
8. Just Pretending
9. Need, The
10. Cut Me
11. Fallen, The
12. Embrace The Ending
Savior Sorrow
I Mushroomhead, attivi ormai dal lontano 1993, giungono al sesto album, Savior Sorrow, che si presenta sicuramente più sperimentale ed innovativo dei precedenti, troppo acerbi e non prodotti impeccabilmente: il eight-piece dell’Ohio, dopo aver condotto una pesante critica contro i celebri Slipknot, accusati di copiare il suo stile “mascherato”, torna con un’opera accattivante, in pieno stile Nu Metal, maligna e pesante come al tempo stesso elettronica e melodica.
La presenza di un tastierista, di un disc-jockey che arricchisce di effetti il tuonante tessuto delle chitarre e di due cantanti che si alternano, genera la differenza di qualità tra il prodotto e le realizzazioni del passato dei Mushroomhead.
Vicini ai Mudvayne per tecnica ed approccio musicale, gli otto statunitensi partono con la convincente 12 Hundred, cattivissima nel suo incedere, quanto pervasa da elettronica penetrante e dalle tinte Industrial. Il growl è profondo e ben calibrato nel suo tono, come preciso ed azzeccato è l’accompagnamento di batteria, spesso proposto ovviamente con una doppia cassa incessante e veloce.
Più melodica e sospesa nella sua elettronica è Simple Survival, ricca di voci clean che giocano con il growl per formare una composizione abbastanza buona, ma ancora potenziabile su diversi aspetti: tuttavia, i Mushroomhead sembrano avere le idee chiare e lo dimostra il vario impiego della tastiera nel Nu Metal, elemento che distingue solo poche realtà del genere nell’immenso panorama americano e mondiale.
L’album subisce poi un grande calo qualitativo dopo le prime due tracce: Damage Done è deludente perché ripercorre linearmente i meandri degli ultimi Korn, presentandosi scarna e povera di soluzioni stilistiche personali; stesso discorso va fatto per Save Us, episodio sicuramente votato a sonorità non omogenee con il contesto dell’album, che non disdegnano una certa unione tra Nu Metal e Type O Negative, gruppo per il quale i Mushroomhead hanno spesso aperto all’inizio della loro carriera.
Ma i Mushroomhead si riprendono e lo fanno in grande stile con Tattoo, veramente malvagia nella sua cavalcata che fonde Nu ad Industrial: cupe e tenebrose le architetture timbriche, violente ed inquietanti, ma fedeli alla tradizione del genere.
Le influenze di acts quali Marylin Manson e Nine Inch Nails sono evidenti in Erase The Doubt, un’altra traccia degna di attenzione all’interno di Savior Sorrow, mentre Burn è un’ulteriore esplorazione dentro alle sonorità Nu più aggressive e meno accessibili: il finale dell’album è ben costruito, affidato a capitoli intensi e sempre intrisi di quella matrice gotico-industriale chiarissima in certe sezioni.
In definitiva, un’uscita interessante e ben elaborata da parte della formazione americana, capace finalmente di ergersi tra molte altre realtà, dopo tanti anni di duro lavoro di studio e live: Savior Sorrow non costituisce di certo un capolavoro, ma di idee eccellenti ce ne sono numerose e questo fatto potrà rendere soddisfatti i cultori di un genere che ha bisogno di nuove leve (seppure i Mushroomhead possano considerarsi dei "veterani" underground) per potersi evolvere con efficacia e senza monotonia.