- Trent Reznor - writing, arranging, performance, production, engineering, sound design
Guests:
- Alan Moulder - production, engineering
- Atticus Ross - programming, additional production, sound design
- Dave Grohl - drums
- Alien Tom - turntables
- Jerome Dillon - drums
1. All the Love in the World (05:14)
2. You Know What You Are? (03:41)
3. The Collector (03:07)
4. The Hand That Feeds (03:31)
5. Love Is Not Enough (03:41)
6. Every Day Is Exactly The Same (04:54)
7. With Teeth (05:37)
8. Only (04:22)
9. Getting Smaller (03:35)
10. Sunspots (04:02)
11. The Line Begins To Blur (03:44)
12. Beside You In Time (05:24)
13. Right Where It Belongs (05:04)
With Teeth
Preceduto dal singolo The Hand that Feeds, nel 2005 esce finalmente il nuovo album dei Nine Inch Nails: With Teeth, ovvero il cosiddetto "Halo 19" (tutte le pubblicazioni ufficiali del progetto reznoriano, difatti, vengono anche chiamate "Halo").
With Teeth è anche il primo album del "gruppo" a non essere in alcun modo un concept, ma semplicemente una raccolta di canzoni.
Il disco comincia in maniera delicata: in All the Love in the World un dolce pianoforte su di una batteria elettronica soffusa accompagna la sussurrata voce di Trent, ma a poco a poco la canzone si trasforma in un climax, con un'esplosione a metà tra elettronica e soul verso la fine. Senza dubbio un buon inizio, che però viene tradito dalle tracce immediatamente successive.
You Know What You Are? e The Collector sono sorrette dal furioso (ma ripetitivo) drumming di Dave Grohl (ex Nirvana e leader dei Foo Fighters), e Reznor non fa che spalmarci sopra una serie di distorsioni e campionamenti su cui urla le sue liriche che ormai danno pericolosamente l'impressione di essere diventate un cliché, così come le note di pianoforte in chiusura che fanno tanto The Fragile.
The Hand that Feeds è il grande tradimento; da Trent tutto ci si poteva aspettare tranne che, dopo anni di silenzio e tutti i problemi che gli aveva dato l'aura di rockstar, tirasse fuori dal cilindro un primo singolo così catchy, danzereccio e radio-friendly. Il testo è un invito a ribellarsi alla politica americana e allo schiavismo della religione ("Just how deep do you believe? Will you bite the hand that feeds? Will you chew until it bleeds? Can you get up off your knees? Are you brave enough to see? Do you wanna change it?"), ma cantato con questo piglio e questa melodia appare pallido e senza forza, se confrontato alle apocalittiche ribellioni metafisiche di The Downward Spiral.
Ci pensa Love Is Not Enough a riportare della rabbia alienante nel puro stile di Reznor, in una traccia che ricorda molto da vicino le atmosfere di The Fragile, così come la successiva Every Day Is Exactly the Same, forse il capolavoro del disco, sostenuta da uno stupendo tappeto sonoro che Trent non spreca, cantando un testo intelligente e molto "sentito" sulla ripetitività delle azioni quotidiane che riducono le persone a schiavi apatici ("I think I used to have a voice, now i never make a sound; and I just do what i've been told; I really don't want them to come around, oh no. Every day is exactly the same, there is no love here, and there is no pain").
La title-track suona come uno scarto da The Fragile, dato che ne ricicla molti stilemi; la riescono a sollevare solamente il ponte al pianoforte che la spezza a metà, e un testo interessante e più personale della media.
Si arriva così al secondo singolo Only, costruito ancora una volta sul secco e deciso drumming di Grohl, mentre Reznor utilizza voce e campionamenti al meglio per non far cadere il ritmo e l'attenzione dell'ascoltatore. Ma è più coinvolgente il videoclip del pezzo, diretto da David Fincher ed infarcito di computer graphic. Ad ogni modo, il grido "There is no you there is only me, there is no fucking you there is only me" convince, e non se ne va dalla testa tanto facilmente.
La batteria di Grohl sostiene anche Getting Smaller, che abbandona quasi del tutto l'elettronica e l'industrial in favore di un potente rock che sembra uscito da un disco dei Queens of the Stone Age più heavy. Reznor che suona come Josh Homme pareva impensabile, fino a ieri. Questo rende la traccia uno dei pezzi più freschi e originali del lavoro.
Molto debole il revival alla 1980s dell'episodio successivo (Sunspots), più incisiva invece The Line Begins to Blur (titolo che riprende un verso della title-track), ma si ha ancora la sensazione di ascoltare materiale provenienti dalle sessioni di The Fragile, e quindi niente di nuovo.
Sensazione che accompagna anche la seguente Beside You in Time (anomalo pezzo lento e riflessivo, giocato molto su accordi fissi e dissonanze che avvolgono tutta la traccia), che però risulta molto più emotiva e convincente.
L'album si chiude con Right Where It Belongs, una dolce ballad di voce, basso e pianoforte disturbata e accompagnata da ruvidi synth; l'intenzione era forse quella di scrivere una nuova Hurt, ovvero un pezzo simile ma che descrivesse il Trent attuale e non più quello passato. Right Where It Belongs è difatti un finale decisamente pacifico e smorzato per gli standard a cui Reznor aveva abituato gli ascoltatori, ulteriore conferma che i tempi sono cambiati e la sua rabbia se n'è in gran parte andata, ma è anche una delle tracce migliori dell'intero album, grazie alla sua delicata e malinconica atmosfera. Mentre la musica descrive un ambiente onirico, le parole cantano un apprezzabile testo che denuncia la nostra "era della finzione" ("What if all the world you think you know is an elaborate dream? And if you look at your reflection is that you want it to be?"), mentre ad un certo punto si sentono per pochi secondi i campionamenti di un pubblico che applaude, come immagine funzionale al testo. Una chiusura decisamente buona.
Eppure la sensazione finale non è abbastanza appagante. Resta sempre un disco di Reznor, e dunque suoni, arrangiamenti e synth sono di eccellente fattura. Ma dopo quella serie di ottimi dischi e 4 anni di silenzio non si può pretendere che la critica promuova a pieni voti un prodotto simile.
Se la sua intenzione era quella di vendere, ci è riuscito (album e singoli al numero uno della Billboard); se la sua intenzione era di spiazzare vecchi fan e critici che lo consideravano un'istituzione in campo musicale, ci è riuscito; ma se la sua intenzione era quella di confezionare un album di qualità artistica davvero degna di nota, non ci è riuscito.
In questi anni di disimpegno musicale e di dischi noiosi e riciclati, molti stavano aspettando che Reznor dicesse la sua e si confermasse il genio musicale che ha dimostrato di essere; e invece egli si è adeguato alla piattezza e al formato-canzone (la prima metà del disco è costituita da tracce estremamente radio-friendly per i suoi canoni), strizzando l'occhio addirittura ai sound nostalgici tipici degli 1980s (Sunspots, The Hand that Feeds) che sembrano andare tanto di moda in questo periodo (e che lui stesso, da Broken in avanti, aveva contribuito a distruggere e rendere obsoleti).
With Teeth al limite può anche suonare piacevole, ma complessivamente non contiene un quarto della profondità psicologica presente nei suoi precedenti lavori (se si escludono Every Day Is Exactly the Same, Beside You in Time e Right Where It Belongs).
Forse Reznor vuole solo dire che si è stancato di tutto ciò che troneggia oggigiorno nella musica (falsità, incoerenza, superficialità, inutili faide, polemiche su chi si vende e chi no), e questo prodotto è il suo modo per suggerire a tutti i critici dove possono infilarsi i loro pareri.
Ma c'è il grosso pericolo che un grande artista stia rischiando di diventare imitazione di se stesso.