- Trent Reznor - voce, chitarra, pianoforte, violoncello, sintetizzatore, programmazione
Guests:
- Adrian Belew - chitarra
- Charlie Clouser - programmazione, effetti atmosferici, sintetizzatore
- Jerome Dillon - batteria
- Bill Rieflin - batteria
- Mike Garson - pianoforte
- Page Hamilton - chitarra
- Danny Lohner - programmazione batteria, chitarra, sintetizzatore
"Left" disc
1. Somewhat Damaged (04:31)
2. The Day the World Went Away (04:33)
3. The Frail (01:54)
4. The Wretched (05:25)
5. We're in This Together (07:16)
6. The Fragile (04:35)
7. Just Like You Imagined (03:49)
8. Even Deeper (05:47)
9. Pilgrimage (03:31)
10. No, You Don't (03:35)
11. La Mer (04:37)
12. The Great Below (05:17)
"Right" disc
1. The Way Out Is Through (04:17)
2. Into the Void (04:49)
3. Where Is Everybody? (05:40)
4. The Mark Has Been Made (05:15)
5. Please (03:30)
6. Starfuckers, Inc. (05:00)
7. Complication (02:30)
8. I'm Looking Forward to Joining You, Finally (04:13)
9. The Big Come Down (04:12)
10. Underneath It All (02:46)
11. Ripe (With Decay) (06:34)
The Fragile
The Downward Spiral consacra Trent Reznor a pubblico e critica; il disco viene seguito da un ottimo album di remix dello stesso (dal titolo Further Down The Spiral), e dalla collaborazione di Trent per la colonna sonora di alcuni film: quella de Il Corvo, con il brano Dead Souls, una cover dei Joy Division; quella di Strade Perdute (film di David Lynch in cui, tra l'altro, compaiono anche Marilyn Manson e Twiggy Ramirez) con tre brani, tra cui l'ottimo singolo The Perfect Drug, che gli fa vincere un altro Grammy; ed infine quella di Natural Born Killers (di Oliver Stone), che cura completamente.
Inoltre Trent affronta altre esperienze: il devastante Self Destruct Tour, la produzione dell'EP Smells Like Children e dell'album Antichrist Superstar di Marilyn Manson (scoperto da Trent stesso), un tour assieme a David Bowie (fortemente voluto da quest'ultimo), la scrittura delle musiche del videogioco Quake, e la produzione del disco Voyeurs dei Two (gruppo di Rob Halford).
Tutte queste cose sembrano però quasi dei pretesti per rinviare l'uscita di un nuovo disco; nel 1997 viene a mancare la nonna di Reznor (che lo crebbe, dopo il divorzio dei suoi genitori), e tale fatto accresce ancora di più lo stato depressivo in cui si trova Trent. Egli infatti è da tempo che soffre di depressione e si considera un fallito: non ha più amici o famigliari, ed è diventato ciò che non avrebbe mai voluto essere ("L'ennesima rockstar ritardata"); a ciò si aggiunge il cosiddetto blocco dello scrittore: "Non volevo proprio sedermi di fronte ad un blocco di fogli e scoprire cosa nascondevo, cosa venisse fuori alzando il coperchio del calderone".
Dapprima Trent cerca aiuto tra i suoi amici musicisti, poi rifugiandosi in una villa californiana sul mare con la compagnia solo del suo pianoforte, poi intraprendendo sedute psichiatriche e ingozzandosi di antidepressivi, ma nulla di ciò lo aiuta.
Reznor capisce che ciò che lo ostacola in realtà è il mondo in sé, quindi si chiude nei suoi Nothing Studios, isolandosi da tutto e tutti, per quasi due anni; in questo lasso di tempo le uniche persone con cui parla e collabora sono suoi amici produttori e musicisti che lo aiutano nel processo di creazione del nuovo album. Il materiale finale raggiunge la quarantina di tracce, che vengono scremate a 23 e quindi organizzate in due dischi, mentre il tocco finale alla produzione lo dà Bob Ezrin (già produttore di The Wall dei Pink Floyd).
"Il disco è per la maggior parte costruito su suoni di chitarra, anche se non suona necessariamente come un disco chitarristico. Quello che sapevo sin dal principio era che questo era un disco sul collasso dei sistemi, sulle cose che si consumano e che si distruggono durante l’uso. Quindi le canzoni sono di quel tipo che ti sembrano perfette, ma poi c’è qualcosa che ad un certo punto comincia a girare fuori controllo, e tu cerchi di riequalizzarlo e di chiudere in qualche modo la canzone, ma è la canzone stessa a impedirtelo... Per questo ho scelto chitarre ed altri strumenti a corda, perchè sono per loro natura imperfetti".
Esce così, nel 1999, The Fragile; il lavoro è diviso in due CD, essendo un album doppio, e i due CD si chiamano Left e Right.
Analizziamo questa monumentale opera della lunghezza di un'ora e tre quarti.
Left.
Questa metà è probabilmente la più interessante, dato che complessivamente contiene la tracce migliori.
Somewhat Damaged apre l'opera in maniera buona, e ci dice già molto sullo stato di Trent in questo momento: "Made the choice to go away, drink the fountain of decay", ma soprattutto "Broken bruised forgotten sore, poisoned to my rotten core: too fucked up to care anymore". I battiti pesantemente elettronici ci portano così alla bella The Day the World Went Away, dal testo minimale e ancora una volta accennante alla decadenza, ma retta da una composizione sonora studiatissima e arrangiata squisitamente.
The Frail, della durata inferiore ai due minuti, è un pianoforte che parla al cuore sospirando le note della title-track, che incontreremo successivamente. Tastiere ambient fanno da ponte tra essa e The Wretched, rancorosa commistione di elettronica e rock malato; dal battito lento e cadenzato sorretto dapprima da note di pianoforte (soluzione molto hip-hop) e successivamente da chitarre elettriche distorte fino a sembrare un impasto sintetico, è un saggio sul pessimismo e sul fallimento umano ("The hopes and prays, the better days, the far aways: forget it. It didn't turn out the way you wanted it, did it?").
Arriviamo così a We're in This Together, semplicemente una delle canzoni più belle mai partorite da Reznor; quasi tutto ciò che musicalmente significa Nine Inch Nails lo possiamo incontrare in questi sette minuti di industrial rock, in cui per la prima volta vediamo un Trent che in mezzo al degrado e al pessimismo trova conforto nella forza indistruttibile di un rapporto sentimentale ("You and me, even after everything. You're the queen and I'm the king. Nothing else means anything").
Il bellissimo finale di pianoforte collega la traccia a quella successiva, ovvero la stupenda title-track, un raro esempio di ballata industrial estremamente emotiva, impreziosita da un'ottima sezione ritmica e da un assolo di chitarra da brividi; Trent parla ancora di cosa significhi essere innamorati in un mondo ostile ("She shines in a world full of ugliness; she matters when everything is meaningless"), e voler costruire una nuova vita con una persona speciale ("We'll find the perfect place to go where we can run and hide. I'll build a wall and we can keep them on the other side") nella cui fragilità si riconosce il proprio passato, in modo di poterla salvare dal diventare come noi siamo diventati: "It's something I have to do. I won't let you fall apart (I was there, too), I won't let you fall apart (before everything else), I won't let you fall apart (I was like you)".
Just Like You Imagined è una strana e distorta traccia strumentale industrial, in cui la sapienza di Reznor nell'assemblare campionamenti, synth e pianoforti stupisce ancora una volta.
Echi trip-hop costituiscono invece la struttura di Even Deeper, i cui punti forti sono nuovamente il battito soffuso e le chitarre elettriche distorte all'inverosimile, mentre Trent grida ancora il fallimento del suo essere e della sua realtà ("Do you know how far this has gone? Just how damaged have I become? Everything that matters is gone, all the hands of hope have withdrawn"), chiedendo aiuto a qualcuno che possa colmare il suo vuoto interiore ("Could you try to help me hang on?"), ma evidentemente è solo un'illusione dato che la traccia termina nel pessimismo profondo ("I stayed on this track, gone to far and I can't come back. I stayed on this track, lost my way, can't come back").
Pilgrimage è un'altra strumentale, decisamente paranoica e alienante, e introduce l'arrabbiata No You Don't, connubio disturbante tra techno e heavy rock che denuncia l'egoismo ("Teeth in the necks of everyone you know, you can keep on sucking 'til the blood won't flow") e la superficialità ("Got to keep it on the surface, because everything else is dead on the other side"), gridando in faccia all'accusato che è destinato al fallimento ("You think that you can beat them, I know that you won't. You think you have everything, but no, you don't").
La Mer è un'altra delle perle della prima metà del disco: un pezzo strumentale (ad eccezione di alcune parole sussurrate in francese da una voce femminile) che da un soffuso inizio al pianoforte si evolve in un climax dissonante in equilibrio perfetto tra sintetizzatori e musica classica (sono presenti anche i violini).
La prima metà dell'opera di chiude quindi con The Great Below, in cui abbiamo ancora un suggestivo arrangiamento che mescola archi e suoni sinfonici a campionamenti sintetici. Il vero punto di forza della traccia è però lo stupendo testo, pessimista e romantico allo stesso tempo: "Staring at the sea, will she come? Is there hope for me after all is said and done?" (...) "All the world has closed her eyes, tired faith all worn and thin, for all we could have done and all that could have been. Ocean pulls me close and whispers in my ear; the destiny I've chose, all becoming clear" (...) "And I descend from grace in arms of undertow, I will take my place in the great below. I can still feel you, even so far away".
Right.
Un testo minimale ("All I've undergone, I will keep on. Underneath it all we feel so small, the heavens fall but still we crawl") accompagna The Way Out Is Through, opener della seconda parte del lavoro; stupenda nei suoni e nella struttura, indica metaforicamente l'uscita di Trent dall'oceano di The Great Below per approdare in nuovi lidi.
Into The Void è invece costruita sulle stesse note di Le Mer, stavolta accompagnate da un testo e da un battito elettro-rock molto più diretto e incisivo; ottimi i vocalizzi di Reznor che, nel marasma strumentale sempre più stratificato, continua a ripetere: "Tried to save myself but myself keeps slipping away".
Where Is Everybody? è un'altra traccia sostenuta da synth ruvidi e taglienti, generanti un ottimo contrasto melodico con la voce di Reznor, che canta ancora una volta di solitudine e fallimento.
E se The Mark Has Been Made è un altro ottimo esempio di incrocio tra strumenti classici e campionamenti aggressivi e rabbiosi, chiuso alla fine dalla voce spezzata di Trent che pronuncia poche e arcane parole ("I'm getting closer, I'm getting closer, I'm getting closer all the time"), Please è un pezzo di psicotica e paranoica elettronica derivante in linea retta da Pretty Hate Machine.
Arriviamo così alla amara Starfuckers, Inc., un pezzo scritto contro tutte le rockstar che mirano ad arricchirsi prendendo in giro gli ascoltatori; l'esempio più lampante è Marilyn Manson, anche se Trent ha sempre negato di aver composto il pezzo pensando a lui (sottolineandolo con il decadente videoclip, in cui non solo le due rockstar compaiono nuovamente insieme apparentemente riconciliate, ma ci sono anche evidenti frecciate a Fred Durst, Billy Corgan, Michael Stipe, Courtney Love e Trent stesso, che autoironizza sulle voci che lo vogliono un "venduto al music-biz"). Se le parole sono di un realismo tagliente ed efficace ("My god pouts on the cover of the magazines; my god's a shallow little bitch trying to make the scene" ... "I'll be there for you as long as it works for me, I play a game it's called insincerity" ... "I sold my soul but don't you dare call me a whore, and when I suck you off not a drop will go to waste" ... "You're so vain, I'll bet you think this song is about you. Don't you?"), la musica rende la traccia senza dubbio la più aggressiva dell'intero album, grazie alla furibonda batteria e alle potenti chitarre elettriche.
Complication è un altro pezzo elettronico strumentale, che introduce abbastanza bene I'm Looking Forward to Joining You, Finally, costruita su una batteria dai suoni estremamente originali e avvolta da una tristezza malinconica, le cui parole fanno pensare al fallimento di una persona cara ("Wanted to go back to how it was before, thought he lost everything then he lost a whole lot more. A fool's devotion swallowed up in empty space, the tears of regret frozen to the side of his face") a cui Trent sente di stare per rincongiungersi ("I've done all I can do, could I please come with you? Sweet smell of sunshine I remember sometimes").
The Big Come Down prosegue la strada dello sperimentalismo, tra furibondi elementi industrial (voce rabbiosa, synth aggressivi) e campionamenti classici (strumenti a corda suonati in modo schizofrenico), mentre la voce sempre più psicopatica di Reznor ci illustra i suoi vani tentativi di stabilire pace interiore all'interno di se stesso ("There is a game I play: try to make myself okay. Try so hard to make the pieces all fit, smash it apart just for the fuck of it" ... "Try to get back to where I'm from, the closer I get the worse it becomes. There is no place I can go, there is no place I can hide; it feels like it keeps coming from the inside").
La chiusura concettuale di quest'opera del pessimismo individuale è data dalla inquieta Underneath It All, in cui Trent ripete senza sosta "All I do, I can still feel you" in un crescendo vocale che diventa quasi cacofonia, prima di essere rotto all'improvviso in favore del punto finale, rappresentato dalla strumentale Ripe (With Decay); costruita ancora attorno a campionamenti chitarristici distorti digitalmente, la traccia è avvolta da un cupo alone di tastiere e suoni ambient in cui fanno capolino note suonate al basso e al pianoforte, con un crescendo interrotto e poi ripreso, in cui si innestano anche campionamenti vocali di Trent stesso. Il pezzo, e dunque l'album, si chiude improvvisamente troncando una chitarra elettrica distorta che aveva a sua volta interrotto il crescendo dissonante della traccia. Complessivamente, si può dire che Reznor ce l'abbia fatta a vincere i suoi demoni.
Il suo isolarsi dal mondo e dimenticarsi della vita da rockstar l'hanno portato a partorire un'opera indigesta, assolutamente non "radio-friendly", di difficile e sofferta assimilazione, che suona come un pugno nello stomaco.
Le soluzioni impensabili e innovative concepite nel registrare gli strumenti per poi modificarli sinteticamente sono un saggio sullo sperimentalismo musicale.
L'aver costruito i pezzi a partire dalle chitarre e dagli strumenti classici piuttosto che dai synth è stata una mossa azzardata dopo il successo del suo precedente disco, ma ha creato qualcosa di nuovo: l'esplorazione di un territorio a metà fra l'alternative rock, l'industrial, l'elettronica e la musica classico-cantautoriale.
Tuttavia, The Fragile ha anche dei difetti: due dischi forse erano necessari, ma complessivamente rendono il lavoro dispersivo e meno incisivo di quanto avrebbe potuto essere; inoltre, nonostante le ottime trovate, Reznor purtroppo è un musicista più intimista ma meno creativo di come lo avevamo lasciato.
The Fragile, ad ogni modo, è stato ed è tutt'ora un disco molto sottovalutato, principalmente a causa del suo sound difficile e alienante; quindi, pur essendo un capolavoro mancato, è senza dubbio un'opera dal valore molto alto, da riscoprire a fondo.