Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Prophecy/Lupus Lounge
Anno: 
2001
Line-Up: 

- Nattramn - Voce
- Leere - Chitarra, Basso

Guest:
- Steve Wolz - Batteria


Tracklist: 


1. Death - Pierce Me (10:33)
2. Sterile Nails And Thunderbowels (06:19)
3. Taklamakan (08:35)
4. The Slow Kill In The Cold (11:37)
5. I Shall Lead, You Shall Follow (08:50)
6. Feeble Are You - Sons Of Sion (03:03)

Silencer

Death - Pierce Me

Uno dei progetti più estremi e malati mai apparsi nella scena Metal, i Silencer hanno pubblicato un unico disco prima di sciogliersi a causa della reclusione in un istituto psichiatrico del leader e vocalist Nattramn, e l’unico parto della band svedese è appunto questo soffertissimo “Death – Pierce Me” uscito sotto Prophecy Productions sul finire del 2001.

Il disco in questione può essere etichettato come ‘Suicidal Black’, ma a differenza del Depressive che ora va tanto di moda è caratterizzato da diversi particolari che lo rendono assolutamente peculiare e dall’impatto devastante. La prima cosa che si nota ascoltando i Silencer è l’assoluta follia che permea lo stile vocale di Nattramn, totalmente sopra le righe, di tono alto e gridato in uno scream maledetto, straziante, più vicino a urla di dolore che a un vero cantato, e trasformandosi talvolta in singhiozzi o lamenti: secondo solo all’agghiacciante performance di Rainer Landfermann sul secondo disco dei Bethlehem, l’approccio vocale dei Silencer può essere descritto perfettamente come ‘maniacale’. Con i Bethlehem, i Silencer avevano in comune anche il batterista, dato che dietro le pelli per “Death – Pierce Me” troviamo Steve Wolz, presente sui dischi del combo tedesco da “Schatten Aus der Alexander Welt” in poi. A distinguerli dalla maggior parte delle bands Depressive Black del momento, che tendono a ritmi cadenzati e in cui la batteria ha un’importanza limitata, qui Wolz da sfogo alla propria potenza e velocità, tenendo solitamente ritmi molto veloci (anche se non sempre, come dimostra “Sterile Nails and ThunderBowels”, in larga parte praticamente Doom), ma, relativamente al genere proposto, variando notevolmente le soluzioni stilistiche e non annoiando: ma in generale si può parlare bene del tasso tecnico di tutto il gruppo, in quanto anche le parti di chitarra di Leere (ex-Shining) sono intense, graffianti e corpose, e il basso (sempre suonato da Leere) si fa notare per un paio di interventi molto groovy, come lo splendido inizio di “Taklamakan”, in cui è protagonista assieme alla batteria di Wolz.
Le composizioni sono solitamente lunghe ed articolate, spesso intervallate da sezioni atmosferiche, in cui fanno la loro comparsa chitarre acustiche, pianoforte e tastiere, durante le quali il cantato di Nattramn sparisce oppure si trasforma in un ringhio sporco e decisamente più basso, solitamente per poi esplodere con il massimo della velocità e della potenza, come accade in “I Shall Lead, You Shall Follow”. Per chiudere la generale disamina tecnica, osservando le liriche si nota come i testi vedono alternarsi sezioni macabre e dolorose a, nel finale, deliri in stile NSBM.

In particolare sono due i brani che maggiormente rendono efficacemente vivo il suono dei Silencer: i due più lunghi del lavoro, ovvero il primo ed il quarto, entrambi sopra i dieci minuti di durata.
La title-track che apre il lavoro è chiaramente il miglior brano del gruppo, ed è straordinaria la fluidità con cui si susseguono le sue sezioni, dalla angosciante e soffusa introduzione alla velocissima parte che la segue, guidata da un riff nebbioso ed oscuro ed annunciata da uno scream raggelante; fino all’intermezzo di solo pianoforte al sesto minuto, nuovamente interrotto da un urlo di dolore più acuto che mai e prologo a secondi che mozzano il fiato in cui il ritmo si va spegnendosi, facendosi sempre più lento e difficoltoso.
Ben undici minuti invece per la traccia in quarta posizione, la misteriosa e disturbante “The Slow Kill in the Cold”.
L’introduzione è stavolta affidata a un’oscura parte di tastiera, semplice e minimale, annullata poco dopo dall’ingresso in campo delle chitarre: il passo lento è ottimo, ma non viene mantenuto per molto ed al terzo minuto siamo nuovamente di fronte alla strumentale furia cieca di Wolz e Leere, troncata dall’intervento di Nattramn che riporta la musica sullo stile del resto del disco. Gelida e disperata, avvolta in un nero mantello di depressione, “The Slow Kill in the Cold” incorpora anche una tesissima parte centrale di sola chitarra e basso, che rendono ancora più efficace il successivo ritorno degli urli agonizzanti di Nattramn; il finale è nuovamente affidato alla tastiera, e la distruzione cui abbiamo assistito pochi minuti prima torna a sembrare un sogno, irreale nella sua estrema perfidia.

Dopo il brano finale, una strumentale sapientemente gestita da pianoforte che punta tutto sulla suspence, rimane solo una sconcertante desolazione, una spiacevole sensazione d’essere stati spettatori (se non vittime...) di una tortura sadica, inumana, delirante. “Death – Pierce Me” è uno di quei dischi nei cui solchi sembra direttamente essere stata incisa la sofferenza e la malattia. Morboso, aguzzo, tagliente eppure straordinariamente lucido e conciso, il primo (e unico) disco della band di Leere e Nattramn è un full-lenght in cui l’interesse non cala per tutti e cinquanta i minuti, e che appassionerà solo chi sarà in grado di sostenerne psicologicamente l’ascolto.

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