- Steve Howe - chitarra
- Tony Levin - basso
- Oliver Wakeman - tastiera
- Virgil Howe - moog
- Dylan Howe - batteria
1. Tigers Den (03:46)
2. Labyrinth (03:57)
3. Band Of Light (03:34)
4. Ultra Definition (03:39)
5. Raga Of Our Time (04:12)
6. Ebb and Flow (04:03)
7. Realm Thirteen (04:27)
8. Without Doubt (03:45)
9. Highly Strung (04:30)
10. Hour Of Need (05:13)
11. Fools Gold (04:05)
12. Where Words Fail (04:16)
13. In The Skyway (03:13)
14. Livelihood (03:34)
15. Free Rein (03:52)
Spectrum
Steve Howe, celebre chitarrista di Yes, Asia e GTR, ritorna nel 2005 presentando il nuovo Spectrum, lavoro solista con cui cerca di spaziare tra sonorità fresche e calde, distanziandosi dalle numerose opere virtuose precedenti. Dal tradizionale Elements del 2003 Howe giunge alla pubblicazione di Spectrum, maggiormente legato a timbri Latin, Blues e Country: solo poche tracce rimangono del Rock progressivo che aveva caratterizzato tutta la produzione di Steve con gli Yes e che cerca a tratti di riaffiorare dalle note di tastiera di Oliver Wakeman (figlio d’arte di Rick, anch’egli membro degli Yes). Il contesto in cui si sviluppa l’album è infatti completamente Blues e la chitarra di Steve disegna motivi e temi veramente piacevoli all’ascolto, ma che alla lunga risultano noiosi e pesanti.
Il sapore estivo dell’opera è rappresentato dalla opener Tigers Den, dove l’assolo costante può essere paragonato al virtuosismo di Satriani o di altri grandi “guitar heros”; Steve cerca di far emergere melodie che rammentino paesi lontani, facendo sgorgare dalle notte della chitarra puro sentimento. Ma, nonostante ottime aperture sonore, il lavoro perde il suo impatto diretto con il succedersi dei brani: così Labyrinth, sebbene sia contraddistinta da coinvolgenti passaggi Blues centrali si smarrisce nella sua monotonia. Il nuovo stile di Howe cerca di comprendere uno “spettro” più ampio di colori musicali, ma l’esito non è certamente dei migliori, in quanto le tracce peccano di originalità e sembrano quasi riprendere completamente splendide ballate Country o motivi Latin Jazz che non introducono nulla di innovativo.
Sembra perciò un genere rivolto ad un pubblico adulto, forse lo stesso pubblico che aveva apprezzato Steve nei suoi trentacinque anni di carriera dal suo debutto internazionale con l’omonimo album Yes.
Molto convincente è la quarta Ultra Definition, in cui i tempi dispari che si susseguono generano temi Blues su una base dal sapore prettamente medievale; il punto debole di Spectrum è quello di essere un album strumentale e le canzoni non colpiscono l’ascoltatore anche perché manca il supporto vocale che le avrebbe probabilmente esaltate.
Invece a parlare è la chitarra di Steve, che trasmette emozioni profonde, appassiona, rilassa attraverso il suo sound alla Santana, però non rimane impressa se non in rare occasioni.
La tradizione degli Yes qui si lega indissolubilmente con ritmi tribali e post-moderni/elettronici, non garantendo i risultati ricercati dal celebre musicista.
Il moog spesso salva in direttiva d’arrivo alcuni pezzi scontati e pesanti da assimilare mentre altri approcci più Hard Rock alla Vai come Ebb and Flow cercano di impreziosire il tessuto. Non si crea purtroppo un’omogeneità tra i vari episodi, che rimangono frammenti staccati e senza collegamenti, un’unione di più generi discostanti e connessi solo dai toni Blues.
Gli Yes sono stati una realtà fondamentale per l’evoluzione della musica Progressive mondiale, ma i vari componenti della band, una volta soli non si dimostrano all’altezza di produrre lavori altrettanto eccezionali: lo ha manifestato Jon Anderson, lo ha ribadito Rick Wakeman con le sue infinite pubblicazioni senza senso, lo ha espresso anche Steve Howe con l’ultimo Spectrum, disco abbastanza discreto, ma lontano anni luce dai veri capolavori degli anni ’70.