Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Andrea Rubini
Genere: 
Etichetta: 
Atlantic
Anno: 
2003
Line-Up: 

- Justin Hawkins - voce, chitarra, pianoforte
- Dan Hawkins - chitarra
- Ed Graham - batteria
- Frankie Poullain - basso

Tracklist: 

1. Black Shuck
2. Get Your Hands Off My Woman
3. Growing On Me
4. I Believe In A Thing Called Love
5. Love Is Only A Feeling
6. Givin’ Up
7. Stuck In A Rut
8. Friday Night
9. Love On The Rock With No Ice
10. Holding My Own

Darkness, The

Permission To Land

Quando nel 2003 il frontman Justin Hawkins presentò la band come la “migliore realtà rock del panorama inglese” sicuramente molti scoppiarono a ridere, ripensando ai fasti di Beatles e Rolling Stones in primis. Sicuramente ci troviamo di fronte ad un personaggio eccentrico, che peró sa fare bene il suo mestiere, perché il progetto The Darkness che porta avanti col fratello Dan é sicuramente una delle hard-rock band piú interessanti da anni. Ovviamente i punti di riferimento sono molteplici, e per piú motivi ricordano i Van Halen; ciò nonostante hanno trovato la propria identità e portano avanti un sound frizzante ed allegro, contornando il tutto da appariscenti costume di scena degni dei piú palesi stereotipi del rock anni '70/'80 e da video estremamente pittoreschi.

L’album viene aperto da una terzina di canzoni in cui il nostro Justin sviluppa trame ritmiche molto lineari su cui imbastire soli; la canzone che li rese famosi, I Believe In A Thing Called Love, si trova alla quarta posizione, e ricopre tutte le caratteristiche che un singolo deve avere: concisa e incisiva, soprattutto nella fase chorus dove la particolare voce di Hawkins puó catturare interamente l’odience, prima di lasciare spazio al solito guitar solo di Dan. Paradossalmente é Love Is Only A Feeling che viene a seguire, screditando praticamente l’intera parte lyrics della precedente hit. Suona peró molto piú lenta e maestosa, ricca di emotivitá ed atmosfericitá, e personalmente la ritengo la canzone regina del disco. In un album che dura una quarantine di minuti scarsi concentrate in dieci canzoni, il trend é sempre lo stesso, divertirsi e divertire; non da meno infatti Givin’Up e Friday Night, dalle lyrics spiritose e dalle metriche molto ritmate, sostenute da Ed Graham che dietro le pelli da un ossatura ai brani senza sconvolgere ma svolgendo l’essenziale per animare i pezzi. Le chitarre suonano leggere o piú hard, come in Love On The Rocks With No Ice, pezzo che peró risulta il meno ispirato dell’intero album. Holding My Own chiude il tutto rievocando un pó la solennitá della quinta traccia, regalando alle chitarre l’assoluta padronanza del brano.

Il disco, come dicevo, regala una quarantine di minuti di buona musica, due o tre brani decisamente validi, e tanto, tanto divertimento. Non ci troviamo di fronte a rivoluzioni o ad innovazioni stilistiche rispetto i canoni classici, tuttavia non ho riscontrato banalitá nei pezzi, sono tutti ben prodotti ed amalgamati tra loro, creando un prodotto che scorre liscio dalla prima all’ultima traccia senza intoppi o imprevisti.

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