- Sahaj Ticotin - voce, chitarra
- Ben Carroll - chitarra
- PJ Farley - basso
- Skoota Warner - batteria
1. Fallen Angels (04:22)
2. Tell Me (03:40)
3. Take Me Away (03:55)
4. I Lost Everything (03:31)
5. Every Little Thing (03:45)
6. Superman (05:10)
7. Say You Will (04:01)
8. Got Me Going (02:42)
9. Far Enough (03:22)
10. The Only One (03:43)
11. Undertaken (03:50)
12. Taken (04:14)
13. Swimming Upstream (03:21)
Duality
Ed ecco Duality, il quarto lavoro dei Ra, band alternative rock newyorkese capitanata dal cantante, songwriter, polistrumentista e produttore Sahaj Ticotin.
Fallen Angel apre le danze con una batteria piuttosto cadenzata e le sue melodie orecchiabili, il chorus in particolare è intenzionato a rimanerci subito in mente. Notevoli anche certi passaggi con chitarre acustiche e voci quasi angeliche, riprendendo il titolo. Tell Me, invece, indurisce un po’ i toni, partendo con chitarre più distorte e un tono cupo e per certi versi malinconico, che con l’avanzare dei minuti si addolcisce, soprattutto nel finale. Un pezzo abbastanza omogeneo nel suo insieme.
Buona prova di chitarre in Take Me Away, che, scandite dalla batteria, in partenza sembrano dare un tocco orientale al tutto; batteria che viene sostituita nella parte centrale da delle percussioni, con l’apparizione di suoni per l’appunto orientaleggianti. Occhio però, l’insieme risulta piuttosto moderno, e le sopraccitate influenze etniche servono solo ad armonizzare il tutto.
La successiva I Lost Everything viene introdotta da un riff di batteria, aprendo la strada al resto dei musicisti. Da citare soprattutto la prova vocale, particolarmente ben riuscita, che riesce ad alternare parti lente ad altre più veloci.
E ancora una volta, delle chitarre più arrabbiate del solito introducono Every Little Thing, pezzo decisamente banale, soprattutto nel chorus, poco elaborato.
Ritorniamo a livelli decisamente migliori con la lenta Superman, che alterna bene chitarre acustiche ed elettriche. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un brano abbastanza omogeneo nell’incedere, forse uno dei migliori di questo disco.
Anche nel caso di Say You Will i ritmi sono abbastanza calmi, ad eccezione del chorus che da un po’ di carica aggiuntiva, ma senza eccedere, procedendo piacevolmente, accompagnati per tutta la durata di un brano da un suono elettronico che pare venire da un gioco elettronico degli anni passati.
La successiva Got Me Going prosegue più spedita, soprattutto grazie alla batteria, e nell’insieme il pezzo vuole dare una sensazione più rockeggiante all’ascoltatore.
Chitarre più cupe in Far Enough, che si prendono il merito di guidare il pezzo, quasi a contrastare la voce acuta del singer. La batteria sembra volersi riscattare a circa metà della durata totale, esibendosi in un solo, per poi continuare ancora in modo uniforme fino alla fine.
Toni ancora orientali nella quartultima The Only One, uniti ad un’atmosfera oppressiva, che sembra volerci mettere paura, che svanisce negli ultimi minuti, quasi a rappresentare una liberazione.
Undertaken valorizza ancora una volta le parti cantate, in certi punti a più voci, il tutto scandito da un riff di chitarra che, seppur non molto vario, riesce a non risultare monotono, che si alterna alla batteria.
Si sente l’avvicinarsi della fine con Taken, che ci tiene compagnia ancora una volta grazie a delle melodie tranquille e serene, per poi arrivare a Swimming Upstream, con delle chitarre acustiche che non lasciano stavolta spazio alle elettriche, e parti di basso migliori rispetto alle canzoni precedenti, proprio per chiudere in bellezza il disco.
Tredici canzoni piacevoli da ascoltare, che non portano nulla di innovativo e certe volte sembra vogliano tentare di scalare qualche classifica, ma che nel loro insieme fanno un buon lavoro, anche se un po’ più di inventiva non avrebbe fatto poi così male, soprattutto nel song-writing e nei titoli di ogni pezzo, piuttosto banali.