- David Gilmour - chitarra, voce
- Nick Mason - batteria, percussioni
- Roger Waters - basso, voce
- Richard Wright - tastiera, voce
Guests:
- Joe Chemay, Stan Farber, Jim Haas, Bruce Johnston, John Joyce e Toni Tenille - voci bianche dalla Islingtown Green School Choir
CD 1:
1. In the Flesh? (03:17)
2. The Thin Ice (02:28)
3. Another Brick in the Qall Part One (03:41)
4. The Happiest Days of Our Lives (01:20)
5. Another Brick in the Wall Part Two (03:56)
6. Mother (05:32)
7. Goodbye Blue Sky (02:48)
8. Empty Spaces (05:36)
9. Young Lust (02:03)
10. One of my Turns (01:33)
11. Don't Leave Me Now (04:22)
12. Another Brick in the Wall Part Three (01:17)
13. Goodbye Cruel World (01:05)
CD 2:
1. Hey You (04:39)
2. Is There Anybody Out There! (02:40)
3. Nobody Home (03:25)
4. Vera (01:38)
5. Bring the Boys Back Home (00:50)
6. Comfortably Numb (06:49)
7. The Show Must Go On (01:36)
8. In the Flesh (04:16)
9. Run Like Hell (04:22)
10. Waiting for the Worms (03:56)
11. Stop (00:34)
12. The Trial (05:16)
13. Outside the Wall (01:42)
The Wall
I: The Wall, i perchè e la trama.
L’uscita di The Dark Side of the Moon nel 1973 aveva portato i Pink Floyd, un quartetto rock, una delle formazioni inglesi più rappresentative dei cosiddetti “anni ‘70”, direttamente tra le braccia di un successo mondiale che non tardò troppo a mostrare i suoi effetti devastanti. In seguito a questo album, il gruppo rimase inattivo per circa un anno, per poi entrare in uno studio di registrazione per incidere il seguito, ormai atteso dal mondo intero, di quell’album che li aveva segnati per sempre. Uscì Wish You Were Here, che è al contempo un nostalgico saluto a Syd Barrett, una strizzata d’occhi verso il portafogli e una critica allo Show Business che stava iniziando a reclamarli per sé soltanto. Il tema, in pratica, era quello di un’innocenza e di un’istintività nella composizione ormai perdute, e sostituite dalla gloria mondiale - anche in termini economici. Fu da lì che il processo evolutivo dei Pink Floyd iniziò a rallentare.
Il successore che vide la luce nel 1977, Animals, rappresentava una critica di stampo Orwelliano nei confronti della società che Roger Waters vedeva attorno a sé (a proposito, il megalomane bassista aveva preso le redini della stesura dei testi a partire dalla lunga e travagliata concezione di Wish You Were Here), dove ogni figura della società stessa prendeva la forma di un animale. Due brani che erano stati esclusi da Wish You Were Here vennero quindi riproposti con i titoli di Sheep e Dogs, per mantenere stabile il tema dell’album, aperto e chiuso da Pigs on the Wing, spezzato da Pigs (Three Different Ones), consacrato da un tour mondiale che infliggerà duri colpi agli animi dei componenti della formazione.
Il preambolo è lungo e può sembrare inconcludente, ma rappresenta una delle principali chiavi di lettura del doppio album The Wall che vide la luce nel 1979, e fu secondo in quanto a vendite soltanto a The Dark Side of the Moon; bisogna considerare che questo doppio album non è facilmente comprensibile se non conoscendo le vicende - almeno, quelle che il gruppo diede come ufficiali - che hanno portato alla sua creazione.
In realtà non si può attribuire con precisione un volto reale al protagonista di questo concept album, anche se si presume che Waters si sia ispirato principalmente a sé stesso. E’ lui, infatti, il componente del gruppo che, in quanto leader effettivo dal 1973 in poi, iniziò a incassare i più duri colpi dovuti a una crescente incomunicabilità tra il gruppo e il mondo esterno. La crescita delle vendite diventò direttamente proporzionale al cambiamento del pubblico al quale la formazione inglese era abituata, e durante una delle serate del tour di Animals, quella di Montreal nel 1977, Waters non si trattenne: mirò in piena faccia e centrò con uno sputo uno spettatore particolarmente esagitato, non lontano dal palco; per giustificarsi, il bassista disse che lo spettatore “Era lì solo per far casino e bere birra e non era minimamente interessato alla nostra musica”. Il muro inizia a erigersi minaccioso, fino a separare Waters dal mondo esterno. E’ così che il bassista incide una demo estremamente confusa della durata di 90 minuti circa, poi rimaneggiata da Bob Ezrin, produttore della band, e David Gilmour, chitarrista nonché colonna portante, insieme a Roger Waters, della compositiva del quartetto.
Il paranoico bassista scrisse testi e musiche strettamente legati al concetto di incomunicabilità tra esseri umani, al suo estraniarsi dal mondo esterno e imperniati sul tema della mancanza di un qualcosa che spesso veniva rubato dal “sistema”. Le voci che sono circolate attorno a questo album vedono un Syd Barrett protagonista delle vicende narrate, o anche un’opera totalmente autobiografica di Waters. In realtà questo ultimo, parlando di quella che diventerà un’opera rock, nonché uno dei doppi albums più venduti di tutti i tempi, affermò sì di aver tratto ispirazione dalla propria vicenda personale (la morte in guerra del padre del protagonista), ed anche da una sapiente osservazione della società (l’incomunicabilità nei rapporti di coppia), ma di non aver, in realtà, fatto altro riferimento al mondo reale o, più nel particolare, al vecchio compagno di gruppo - anche se, nell’ultimo caso, bisogna citare il brano Nobody Home, apertamente dedicato a Barrett. Il resto della storia è pura invenzione.
La trama risulta, a tratti, di difficile comprensione, anche a causa dei continui rimaneggiamenti e dell’indecisione fino alla pubblicazione dell’album sull’ordine delle tracce, ma nella linea generale viene espressa abbastanza chiaramente. Si tratta, come già accennato, della storia di Pink, figura che attinge dall’immaginario del rocker schivo e maledetto: una stella sull’orlo del collasso, pronta ad esplodere. Una serie di rilevanti avvenimenti della sua esistenza indurranno il cocker ad una chiusura totale nei confronti del mondo esterno: la morte del padre in guerra, la (realmente esistita) situazione degenerante di un sistema scolastico che trucidava menti e lasciava campo libero a professori terribili, l’incombente presenza della madre iperprotettiva, il matrimonio affrettato, gli eccessi, il pubblico famelico (e di questo probabilmente Waters ne sapeva qualcosa) e le continue pressioni del campo discografico spingono Pink a erigere un muro di incomunicabilità tra la sua mente, il mondo nel quale spadroneggia con fare dittatoriale, e la realtà a lui circostante. Sarà però la sua mente stessa a metterlo sotto processo, dopo aver dovuto subire overdose e periodi di silenzio assoluto, e prenderà la forma del Giudice Verme, di fronte al quale testimonieranno tutti i personaggi che hanno contribuito alla costruzione del muro; dopo una spietata autoanalisi, viene confermata l’accusa di “aver dimostrato sentimenti umani”, e la punizione non può essere, per Pink, che la più atroce, sebbene al contempo liberatoria: essere riconsegnato al mondo, essere costretto ad abbattere il muro.
Del quale, dopo il processo, non resteranno che pochi mattoni.
II: The Wall, musica e stile.
Come si può intuire, The Wall è un album la cui musica ha l’unico scopo di comunicare la storia e la morale insita al suo interno. La logica conseguenza è che le canzoni rispondano alle esigenze della storia, e abbandonino parzialmente il sound che aveva caratterizzato i Pink Floyd nel corso degli anni ’70, che all’uscita di questo album volgevano al termine; alcune delle canzoni inserite dell’album, inoltre, non sono nemmeno delle canzoni vere e proprie: alcune non sono altro che tracce piazzate tra canzoni vere e proprie per esigenze narrative e per rendere più fluido lo scorrimento della storia. E’ da segnalare anche la presenza parziale di Richard Wright a causa di beghe personali con Roger Waters, che certamente tinge di scuro le sonorità del gruppo e le fa leggermente emergere dal sound ancora legato alla psichedelica di Syd Barrett che aveva caratterizzato il quartetto fino all’album precedente. La parziale assenza di Wright viene compensata da un’orchestra diretta da Michael Kamen, che rende ancor più teatrale e spettacolare un’opera che, già di per sé, è caratterizzata da forti tinte melodrammatiche. Nonostante il sound a tratti risulti ostico, e tanto opprimente da aver allontanato molti fans che si erano avvicinati al gruppo grazie a The Dark Side of the Moon, contiene alcuni tra i più begli assolo di David Gilmour, che riesce in questo album a dare quanto di meglio potesse offrire con la sua chitarra.
In effetti, già la traccia d’apertura, In the Flesh? riesce, con un Hard Rock che si apre come un sipario rosso e dorato, atipico per il gruppo, a rendere l’atmosfera che dominerà nei momenti cruciali dell’album, ma che cederà il posto a ballate delicate (ma pur sempre acide e dense di nera ironia) come The Thin Ice o Mother, a ritmi incalzanti e inquietanti, come il tema dominante dell’album, quello di Another Brick in The Wall, che si ripeterà nelle sue tre parti così come in The Happiest Days of our Lives, che oggi tendiamo a considerare parte integrante del secondo atto della fase di ideazione del muro da parte di Pink, in Hey You, in Run Like Hell, in Waiting for the Worms e in The Trial; non mancano, tuttavia, struggenti ballate dal sapore amaro, alcune contraddistinte da un’ironia nera, altre che denunciano la situazione all’interno del Muro e vogliono essere una sorta di disperato grido, la richiesta di Pink di un aiuto che non arriverà se non da sé stesso. Hey You è l’apice del dolore di Pink, un urlo che cova ancora un briciolo di speranza verso il mondo, reso perfettamente dal cantato di Roger Waters nell’ultima strofa (“ehi tu, non dirmi che non c’è assolutamente speranza/insieme restiamo in piedi, divisi cadiamo”); la ridondanza del tema di Another Brick in the Wall, stavolta decisamente più lento, e teso a rendere la più nera disperazione, rende il brano intensissimo, grazie alla mescolanza con gli arpeggi che caratterizzano il brano. Comfortably Numb, inizialmente brano che doveva essere incluso nel primo album solista di David Gilmour, è la caduta di Pink in stato comatoso, il suo momento di cedimento, dal quale si dipartirà il cedimento della sua “dittatura mentale” e il conseguente processo del Giudice Verme. Difficilmente, però, si può credere che un brano dalla semplicità così disarmante, e al contempo così intensa, sia la parte più tragica dell’intero concept: le melodie impalpabili, il classico giro in Si minore che probabilmente è stato usato centinaia di volte da artisti blues, la voce delicata che si inerpica su leggeri ma al contempo magnificenti tessuti di chitarra, tastiera e orchestrazioni, sembrano comunicare, più che una tragedia, il ritrovarsi di Pink, finalmente, in una situazione di pace con sé stesso e col mondo - che, in effetti, risulta raggiungere soltanto durante le fasi di incoscienza. I due assolo presenti nel brano confermeranno a Gilmour il posto nell’Olimpo della chitarra, e il secondo assolo presente in questo pezzo verrà più volte inserito tra i migliori cento della storia. The Trial è l’apice della teatralità del disco: addirittura si tenta di rendere il dialogo tra tutti coloro che intervengono al processo di Pink con più voci. Le orchestrazioni danno un’aria buffa e tragica al tempo stesso al processo, intrise di un umorismo beffardo e malvagio, che si concluderà però con l’abbattimento del Muro, finalmente privo dell’atmosfera inquietante che è stata iniettata nell’album.
Young Lust avrebbe potuto essere una buon’idea per rendere un Pink che tenta di distrarsi dal matrimonio posto su un filo del rasoio che ancora lo lega a sua moglie, ma i riffs Hard Rock che la caratterizzano risultano pesci fuor d’acqua rispetto all’album in cui si trovano, poiché non si trovano avvantaggiati, come il riff di In The Flesh (in entrambe le sue parti), da una forte teatralità e da un impatto solido; si tratta, tuttavia, dell’unico brano dell’album che si può anche non tenere in considerazione, seppure al di fuori dell’album e del nome che lo ha pubblicato trova anche un suo perché.
III: The Wall, reazioni al disco.
Come già accennato, non tutti sono stati disposti ad accettare il cambio di sonorità dei Pink Floyd in quest’album, né ad accettare la dittatura compositiva del bassista dei Pink Floyd e molti altri invece hanno sopravvalutato questo disco, a causa della bellezza della storia che lo caratterizza. In realtà, sotto il versante prettamente musicale non dà alla luce nulla di nuovo, se non in relazione al gruppo - e anche sotto quest’aspetto, difficilmente si può dire che l’album è una novità vera e propria per il quartetto inglese, visto che la delicata e affilata al tempo stesso chitarra di Gilmour rimane quella che aveva firmato gli album precedenti. L’album è contraddistinto da una commistione d’influenze da parte d’alcuni generi in particolare, probabilmente guidate da Bob Ezrin all’interno del calderone che è questo doppio album: alcune melodie prettamente Pop e Funky (si parla ovviamente di lei, la canzone più conosciuta dell’album, la famigerata e stra-conosciuta Another Brick in the Wall) si inseriscono nemmeno troppo di soppiatto all’interno del Concept, mentre le orchestrazioni evidenziano già un gusto per la musica classica che Waters svilupperà nel tempo fino alla stesura della sua opera lirica, il ça Ira, pubblicata nel 2005. La storia, come già detto, risulta a tratti confusa, e ciò chiaramente non può essere un punto a favore. Tuttavia è necessario considerare questa mastodontica opera nel suo complesso, e il risultato finale è più che godibile. Un album intenso che incide segni indelebili negli ascoltatori, anche se magari non si tratta di un album particolarmente innovativo o interessante dal punto di vista musicale.
IV: The Wall, P.S.
Per un maggiore godimento dell’opera si può visionare il film Pink Floyd - The Wall, diretto da Alan Parker e con Bob Geldof protagonista, ma ideato da Waters. Uscito nel 1982, è monco di alcune tracce come Hey You ma ne presenta alcune in loro sostituzione, come When The Tiger Broke Free. Pochissime le sessioni parlate, solo la musica dei Pink Floyd comunica con lo spettatore, e le immagini-shock del film. Oltre a essere un film decisamente ben realizzato, può essere un ottimo strumento per capire a fondo la trama del concept album. Altri due acquisti consigliati per godere appieno di The Wall sono due live albums: uno è del quartetto, Is There Anybody Out There?, dove tutta la scaletta del doppio album viene eseguita dalla formazione più celebre del gruppo; l’altro è soltanto di Roger Waters, eseguito alla caduta del Muro di Berlino nel 1990 insieme a molti ospiti anche dai nomi altisonanti. Ma questa è un’altra storia.