Lo sguardo cordiale e sereno, incastonato in un volto che sembra uscito da un film di pirati: il dualismo espresso dal volto di Peter ‘Peavy’ Wagner, leader e voce/bassista dei prolifici Rage, si sposa alla perfezione con le due anime espresse dal trio tedesco. Da una parte la potenza tipica del power/speed anni’ 80 (quando non c’era ancora una separazione così netta tra scuola europea ed americana) e le divagazioni progressivo-sinfoniche della loro ultima incarnazione, quella iniziata con Unity e con l’ingresso di Mike Terrana e Victor Smolsky. Con questa decisa serenità, Peavy è oggi con noi per parlarci di Speak Of The Dead, la nuova fatica della premiata ditta Rage; pertanto, è superfluo perdersi in preamboli di presentazione del disco, che ci viene illustrato nei minimi dettagli da un dei suoi ‘genitori’...
A.E. - Peavy, prima di tutto complimenti per Speak Of The Dead, un album incredibile, ricco di sfumature e, se non erro con un concept di base, almeno per quel che concerne la suite che occupa la prima metà del disco, moto più progressiva rispetto al resto, maggiormente aggressivo: una suddivisione voluta?
Peavy - Diciamo che la suddivisione è venuta obbligatoriamente con la realizzazione della suite Lingua Mortis, in quanto, oltre ad essere un mini-concept lirico, è principalmente un mini-concept musicale. I pezzi, di conseguenza, sono legati tra loro da un comune filo conduttore ed, a livello di arrangiamento, dovevano mantenere una certo omogeneità; pertanto l’aggressione e la velocità dovevano integrarsi con momenti più melodici, ariosi e riflessivi e con le parti strumentali, il tutto al fine di realizzare una grande ed unica track. Da No Fear in avanti (che è anche il singolo che abbiamo scelto per il lancio dell’album) il registro cambia, visto che ci dedichiamo a pezzi indipendenti tra loro e che quindi può uscire la parte più veloce, diretta ed aggressiva dei Rage di oggi.
A.E. - Hai parlato di mini-concept con Lingua Mortis, o meglio di suite; ovviamente, se la parte musicale la si scopre con l’ascolto, quella tematica, però, vorremmo sentirla raccontare da te…
Peavy - In realtà la storia di Lingua Mortis non si discosta poi moltissimo dal leit motiv presente nel reso delle altre track. I testi della suite, però, parlano della storia di una ragazza che vive attraverso una guerra, la osserva dall’interno, vede persone care morire e corre il rischio lei stessa di essere uccisa, ma ha anche l’opportunità di osservare la sofferenza e la morte dei nemici, il frantumarsi anche delle speranze vecchie e la nascita di nuove. Non volevo fare una storia/predica contro la guerra, ma raccontare una storia di una persona che vede il collasso e la crisi di valori che porta alla più feroce delle soluzioni: la guerra.
A.E. - Mi viene da domandarti, anche se penso sia scontata la risposta, se no ci siano riferimenti alla delicata situazione di tensione internazionale che stiamo vivendo oggigiorno….
Peavy - Guarda, ti sei già dato la risposta! Voglio dire, non sono testi che dicono ‘questi hanno torto, quelli ragione, la guerra è necessaria o il più generico la guerra è una follia!’; diamine, questo lo sanno tutti che la guerra è una follia! Il punto è vedere come si arriva ad spararsi addosso a vicenda, per quali ragioni lo si fa e se si poteva evitare tutto questo, ma, prima ancora, raccontare una storia di una persona che vive e prova delle cose, che vede e riflette, che agisce e si da un giudizio. Insomma è la storia di una persona, non una banale predica.
A.E. - Ed a tuo parere, cos’ha portato a questa nostra situazione di crisi, all’essere quasi sull’orlo di una guerra?
Peavy - A parte che, per certi versi in guerra ci siamo già (quando ci sono attacchi, armi e morti in questa quantità, la si può solo chiamare guerra), uno dei problemi fondamentali è la gestione dei problemi che sorgono tra popoli, nazioni, gruppi etnici e religiosi, da parte della nostra classe politica (intesa a livello mondiale): insomma, quando entrano in ballo, ingerenze territoriali, forti gruppi economici, alleanze più o meno evidenti, tutto questo va a gravare su una situazione già claudicante. Se questi signori non la smettono di pensare ognuno al suo piccolo orticello, il futuro non sarà certo rosea.
A.E. - Difficile darti torto. Abbandoniamo per un attimo quest’interessantissimo tema per concentrarci sulla questione principale: la musica. Com’è nato Speak Of The Dead? In pratica, c’è l’idea di una mente sola o è classificabile come un lavoro corale, visto che questo è ormai il terzo platter da studio con la medesima formazione?
Peavy - Il punto è questo: di solito le idee principali le porto io e vengono assemblate e sviluppate assieme a Mike e Victor, due grandissimi compositori ed arrangiatori, oltre che musicisti di primissima qualità. Va detto, però, che il feeling che si è creato tra me e loro in questi ultimi anni e l’apporto che hanno dato allo sviluppo del sound Rage è stato così determinante, che il mio stesso modo di partorire le idee basilari per i brani, è influenzato da loro stile e dalla loro enorme apertura mentale stilistico-musicale; in pratica, possiamo di dire che più che un processo di songwriting corale, è il risultato dell’ispirazione di tre persone in perfetta sintonia tra di loro.
A.E. - Effettivamente negli ultimi album, ma specialmente in quest’ultimo, emerge tutta la duttilità ispirativa di Victor e della suo militanze nei Mind Odissey.
Peavy - Certo, come emerge anche la spinta dinamica e la varietà di Mike, ma questo non avviene sono nei brani per le parti suonate da loro: avviene anche nel mio modo di approcciarmi alla composizione ed al canto. Insomma è come se io avessi attinto da loro, oltre che per evolvere i Rage, per evolvere me stesso.
A.E. - Hai citato il tuo modo di cantare: a parte i complimenti per lo splendido lavoro svolto su questo disco, devo dire che la tua tecnica ha fatto passi da giganti dagli esordi: la tua voce è sempre tagliante ed inconfondibile ma ora, oltre al fatto che canti meglio, sai interpretare con sfumature tecniche ed espressive davvero notevoli, ogni diverso risvolto di un brano. Hai preso delle lezioni?
Peavy - I tuoi complimenti quasi m’imbarazzando ah ah!!! Grazie! Comunque è vero, è molto che prendo lezioni di canto per migliorarmi e crescere. Questa è stata un’altra vittoria dovuta alla presenza di Mike e Victor. Vedi ho pensato: ho a disposizione due musicisti incredibili, che si sono integrati con me alla perfezione. Sto crescendo come bassista e come compositore, i brani hanno mille sfumature in più: perché non dovrei crescere anche come cantante? Questo mi ha permesso, oltre ad una maggiore qualità di prestazione, anche la possibilità di fare meno fatica e, soprattutto, di dare più libero sfogo alla mia vena creativa. Sai, può essere creativo finché vuoi, ma se non hai i mezzi per metterlo in pratica……
A.E. - Peavy, visto che ci sarà comunque un concept legato alla suite, pensi che introdurrete anche dei particolari assetti musicali o scenografici per i vari live che vi aspettano?
Peavy - Ci piacerebbe molto avere sempre dietro l’orchestra per le parti sinfoniche, ma i costi sono alti e gli spazi in cui giriamo per il nostro tour solista sono esigui e non ce lo permettono. Però la scenografia, certamente, si riallaccerà al concept ed alla copertina del disco. Forse, ma qui è tutto da vedere, per i festival estivi potremmo fare le cose più in grande, magari con una versione ‘small’ dell’orchestra, ma per ora non c’è nulla di sicuro.
A.E. - Parlavi del vostro tour: come sta andando e con che gruppo di supporto siete on stage?
Peavy - Stiamo girando l’Europa con i Freedom Call, che sono nostri grandi amici, oltre che una band che noi stessi apprezziamo molto, e finora siamo rimasti veramente soddisfatti sia di come abbiamo potuto suonare, che della nostra prestazione; quello che però ci esalta più di ogni altra cosa è stato il responso del pubblico, l’entusiasmo del pubblico sia per i brani storici che per quelli nuovi. Inoltre amo sempre vedere la varietà di reazioni, in base al Paese, che il pubblico ha per dimostrarci il suo affetto e devo ripetermi, ogni volta che parlo con un giornalista italiano, che il vostro è di sicuro tra i più calorosi e spettacolari.
A.E. - Stavolta io ringrazio te, del complimento, ma anche dell’intervista, visto che siamo giunti al termine. Prima però, avevo un’ultima domanda, più che altro una curiosità: come vostra ‘mascotte’ avete sempre (ed anche in questo disco) una strana creatura, una specie d’incrocio tra un rettile e la creatura di Alien creata da Giger. Chi è che l’ha creata e come mai c’è questa somiglianza con la creatura dell’artista svizzero? Fu una cosa voluta già all’epoca o si è sviluppata nel corso degli anni?
Peavy - Beh, non so dirti se la somiglianza con l’Alien sia voluta, anche se devo dire che si nota molto per via della testa! La nostra mascotte comparve per la prima volta all’epoca della pubblicazione di Perfect Man ed è stata un’idea del nostro illustratore Joachim Leutke, che da quel momento si è sempre occupato dello sviluppo di questa mascotte che, per Soundchaser, si è anche fusa con i nostri volti! E’ un mostro parte organico parte meccanico, sembra feroce ma invece è un po’ lo specchio del nostro sound e del metal: aggressivo, inquietante, sintesi di umanità e tecnologia, antico e moderno, ma in sostanza molto più umano di tante altre cose che sembrano innocue, ma che poi o ti tradiscono oppure, peggio ancora, sono inutili e piatte. Lui, come noi, di sicuro, non finge ciò che non è e non si rivela piatto ed inutile…..almeno per noi tre!!!