I Museo Rosenbach sono oggi ricordati nel mondo come uno dei gruppi fondamentali del Progressive Rock degli anni '70, con la loro unica pubblicazione Zarathustra. Scioltasi per un lungo periodo, la formazione si è riunita nel 2000 per dare vita alle due pubblicazioni Exit e Kalevala. A raccontraci qualcosa del percorso musicale dei Museo Rosenbach dagli anni '70 ad oggi è il bassista/pianista Alberto Moreno...
E.B. - E’ un onore poter chiacchierare con il Museo Rosenbach, una delle formazioni che ha segnato il Progressive degli anni ’70 con il suo capolavoro Zarathustra. Com’è avvenuta la realizzazione dell’album? So che prima di progettarlo suonavate cover di altri artisti, ma non vi eravate mai avvicinati al Progressive Rock sinfonico. Solo ascoltando le allora nascenti Premiata Forneria Marconi e Banco del Mutuo Soccorso avete avuto l’ispirazione per comporre Zarathustra e cambiare il vostro stile?
Alberto - Ti ringrazio per l’interesse che hai nei nostri confronti. Fa sempre un po’ effetto rivangare Zarathustra; subito si è lusingati…poi affiora un piccolo scoramento per gli attuali sforzi creativi che si devono confrontare con la fortuna di quel lavoro. Allora…ai tempi del profeta persiano la realizzazione è avvenuta come se fosse un collage; nel nostro repertorio, oltre alle cover del tempo, avevamo a disposizione idee musicali risultanti dalle assimilazioni individuali del rock di quel periodo. Progressivamente (Gulp!) le abbiamo sviluppate in una suite e in lunghe canzoni. Eravamo vicini (anzi succhiavamo) al rock sinfonico dei Nice, dei Colosseum e degli Emerson, Lake & Palmer. Quando il Banco ha realizzato il primo album la nostra musica è lievitata in un progetto organico. Hendrix è stato mitigato in Zarathustra e, grazie anche a Pictures at an Exibition la suite si è amalgamata.
E.B. - Zarathustra è stato uno dei primi concept del Prog italiano, con le sue liriche legate al celebre libro di Friedrik Nietzsche. Come vi siete accostati alla filosofia del pensatore tedesco? Che cosa vi ha affascinato delle sue concezioni?
Alberto - Sono il responsabile di questa tematica che mi sembrava accattivante proprio nella sua rivisitazione che si stava compiendo dagli anni 60. (Edizione delle opere a cure di G. Colli e M. Montanari). Oltre ai contenuti, in linea con i testi arditi di quegli anni, mi piaceva il linguaggio particolarmente immaginifico e adatto ad una presa evocativa del messaggio. C’era l’ambiente dei King Crimson proprio nella dimensione metaforica del testo.
E.B. - Già dal 1974 imperversava sul panorama italiano la musica degli Area. Cosa pensate di questo gruppo? Spesso vi hanno paragonato alla band opposta a quella di Demetrio Stratos per idee politiche, per colpa della copertina di Zarathustra che ritrae l’effige di Mussolini. Voi avete sempre precisato il contenuto dei testi, ispirati ad un Nietzsche moderato e non legato all’interpretazione estrema data dal nazismo. Ma come mai il creatore della copertina ha voluto inserire quell’immagine abbastanza provocatoria per l’epoca?
Alberto - Non eravamo coscienti delle implicazioni politiche; o meglio, non lo eravamo nella fase di realizzazione dell’album. Poi la censura della RAI ci ha aperto gli occhi…Conoscevamo gli Area e soprattutto Demetrio (quando era con I Ribelli); non ci siamo mai soffermati sul loro stile; mi ricordo che seguivamo più lo sperimentalismo dei Pink Floyd (Ummagumma ). Degli Area ci interessavano l’uso delle scale orientali e il coraggio della proposta. Il creatore della copertina ha sicuramente inserito Mussolini perché per lui Nietzsche era ancora interpretabile come anticipatore di una ideologia nazi-fascista. E’ chiaro che dal suo punto di vista Monti ubbidiva all’esigenza di efficacia e non ha valutato l’ipotesi che ci avrebbe messo nei guai. Il modello che avevamo portato noi era più morbido: la faccia di Zarathustra era riempita da frammenti di costruzioni antiche e non c’erano le fotografie realistiche e il busto.
E.B. - E’ vera la voce che una canzone di Zarathustra vi è stata donata da un altro gruppo chiamato Il Sistema?
Alberto - Non una canzone. Solo una parte del finale di Zarathustra che peraltro è stata adattata all’insieme della suite. Questo si è verificato perché due membri del Sistema (Lagorio e Merogno) erano entrati a far parte del Museo. Non userei il verbo “donare”. E’ opportuno ricordare anche che all’inizio del nostro Pop i gruppi di una stessa zona vivevano in osmosi e invidia reciproche.
E.B. - Pensate che la tutta la musica Progressive italiana sia sempre stata politicizzata come dimostravano apertamente gli Area? Oppure credete che esista anche un Progressive nazionale che abbia scavato nell’immaginario della mente e connesso all’interiorità?
Alberto - La seconda che hai scritto. Tieni poi conto che i testi avevano, nel momento compositivo, una valenza secondaria; eravamo più interessati alla resa live del nuovo repertorio. Non credo che la musica Prog del tempo avesse un indirizzo marcatamente politicizzato. Si respirava l’aria di un impegno decisamente più ideologico di oggi. Gli schieramenti c’erano senz’altro, ma non direi che il Prog italiano sia stato politicizzato.
E.B. - Che cosa ha influito maggiormente sulla composizione di Zarathustra? Il Progressive inglese ha avuto un ruolo fondamentale nella vostra maturazione musicale? Cosa vi piaceva ascoltare nel 1973, anno precedente la pubblicazione del disco?
Alberto - Sì è stato soprattutto il pop inglese a darci l’input. Ecco quindi i Jethro Tull, i Genesis, i Pink Floyd, i Van der Graaf Generator, i Colosseum di Valentyne Suite. Forse è stata questa composizione che ci ha guidato in alcune sezioni dello Zarathustra. Ricordo anche i Cressida e il loro album Asylum. Se lo senti oggi probabilmente ti stupirai di questo ascendente ma il loro modo di impastare il rock e il classico ci aveva intrigato. Accidenti! Dimenticavo i Procol Harum. Essenzialissimi.
E.B. - Potete svelarci qualche segreto sulla strumentazione da voi impiegata in Zarathustra?
Alberto - L’unico segreto nella strumentazione è stato l’uso del mellotron (a volte calante); ma forse il segreto di composizione più significativo è stato quello di pensare una voce Blues su un impianto sinfonico (ci aveva colpito un album dei Family). Una parola sull’orchestrazione curata nei dettagli per disorientare l’ascoltatore con i cambi di tempo e di atmosfera.
E.B. - Dopo l’uscita di Zarathustra avete abbandonato l’idea di continuare con nuovi album. Come mai questa scelta così avventata dopo il successo che ha riscosso il vostro full-lenght di debutto per molti anni?
Alberto - Tensioni personali e di gruppo; e poi, diciamo la verità, Zarathustra è stato effettivamente ascoltato e valorizzato alla fine degli anni ‘70 quando ormai nel Museo Rosenbach regnava la polvere. Tieni poi conto che non eravamo soddisfatti del risultato. Ancora oggi io preferisco ascoltarmi nei rari nastri dal vivo che abbiamo realizzato (e che non sono stati pubblicati).
E.B. - Che strade avete percorso singolarmente durante il lungo periodo dal 1973 al 2000? Che cosa vi ha riportato insieme a scrivere Exit?
Alberto - Golzi si è inserito nel Pop commerciale; Lupo ha continuato con covers di R&B; Merogno e Corradi hanno sviluppato le loro carriere professionali fuori dalla musica; io sono rimasto in bilico: per metà insegnante di filosofia e per l’altra metà ho seguito il percorso dei Matia Bazar collaborando con loro in alcune occasioni. Exit è stato il frutto della mia metà musicale integrata dalla amicizia e competenza di Marco Balbo, più giovane di noi ma abile chitarrista. Con lui e Golzi ho considerato il nuovo materiale che negli anni si era formato durante la tracimazione della creatività. Abbiamo deciso che si poteva riproporre e ci abbiamo lavorato un paio d’anni cercando altri elementi che formassero una band in grado di suonare live quel materiale. Così, dopo una decina di esibizioni nel circondario SENZA proporre Zarathustra abbiamo creduto che valesse la pena produrre una nuova release.
E.B. - Che cosa rappresenta per voi l’ultimo lavoro discografico, Exit appunto? Secondo voi cos’è cambiato dal vostro precedente sound?
Alberto - Il penultimo lavoro discografico (l’ultimo è stato la partecipazione a Kalevala) è la fotografia del tentativo di uscire dalla suite intesa nel modo ortodosso del Prog italiano; il disco ha una sua unità intrinseca perché sviluppa proprio quella dimensione interiore e più personale che è l’ambiente delle composizioni. C’è anche qui un concept di fondo: l’impossibilità di dare giudizi univoci su temi come l’amore , lo spirito del Tempo, le guerre , i media in cui esse sono rappresentate. A mio parere il mood creativo è lo stesso che ha partorito Zarathustra; la forma strumentale appare diversa ma se ascolti attentamente brani come Tuareg, Il re del Circo, Il Terzo Occhio e In Equilibrio ci ti accorgerai che questa mio parere non è campato in aria.
E.B. - Siete rimasti soddisfatti dal successo di Exit? Come ha risposto l’estero alla sua uscita?
Alberto - No. Siamo rimasti intrappolati nel confronto con Zarathustra. L’estero ha risposto ascoltandoci per via del nome ma non ci ha dato molte soddisfazioni. Mi piace però ricordare che il Museo esce alla distanza (speriamo); a parte le mie illusioni ritengo effettivamente che il lavoro andrebbe ascoltato meglio.
E.B. - So che avete nuovo materiale in preparazione per una futura nuova pubblicazione: come apparirà? Connesso alle sonorità di Exit? Non vi piacerebbe ritornare con un album vicino a Zarathustra nell’approccio, in modo da accontentare anche i vecchi fans dei ’70?
Alberto - Abbiamo realizzato Fiore di Vendetta nel progetto Kalevala usando alcune sonorità del vecchio Prog; e abbiamo avuto un riscontro senza dubbio più favorevole di quello ottenuto con Exit. In questo caso però l’argomento del poema si prestava a questo recupero sinfonico- pomposo. Non ti nascondo che spesso siamo tentati di accontentare i fans ma proviamo un po’ di resistenza a calibrare il lavoro su un target di default .
E.B. - Pensate che Zarathustra e Exit siano rivolti anche ad un pubblico giovane come quello odierno oppure sempre agli adulti amanti delle sonorità Progressive del passato?
Alberto - Sicuramente il Museo necessita di una audience di nicchia; ci piacerebbe però che si tenesse conto del fatto che le sonorità Prog del passato sono passate e realizzabili solo con artifici sonori di stampo archeologico.
E.B. - Al momento cosa amate ascoltare?
Alberto - Musica da film (Zimmer) musica classica del Novecento; Eminem. In realtà sentiamo di tutto.
E.B. - Conoscete l’ulteriore evoluzione del genere che suonavate nei ’70? Ai nostri giorni è molto diffuso il Progressive Metal, che lega i timbri del vecchio Rock con la durezza del Metal odierno. Ascoltate qualcosa di questo genere che ha invaso l’Europa e l’America dagli anni ’90?
Alberto - Non ascoltiamo molto Progressive; forse è per questo che il pubblico di questo genere ci sta abbandonando.
E.B. - Vi incuriosisce l’uso dell’elettronica? Pensate di impiegarla in futuro?
Alberto - No. E’ ovvio che la sfruttiamo nella sua modalità informatica per le registrazioni e i provini.
E.B. - Avete in previsione un tour che toccherà le principali città italiane? Potremo presto rivedervi live?
Alberto - Non credo nei miracoli.
E.B. - Bene, grazie mille per l’attenzione e per la disponibilità. Vi auguriamo un buon successo per il prossimo disco e speriamo che non deluda le aspettative di noi fans. Potete concludere l’intervista come preferite, la fine è libera ed è un vostro spazio personale. A presto!
Alberto - Concludo ringraziandoti ancora e segnalando una pubblicazione su Zarathustra realizzata dal Centro Studi per il Progressive Italiano di Genova. Tutto quello che è possibile sceverare da Zarathustra è lì contenuto. Non posso fare a meno di lanciare un appello ai fans: Grazie per i riconoscimenti zarathustriani ma considerate che le aspettative nei confronti di una musica Prog seguono l’inesorabile percorso del Tempo. Anche se il Museo ha cantato l’Eterno Ritorno dell’Identico il prossimo album rifletterà il mondo del Terzo Millennio. Ciao.