Chicago
(Bill Champlin)
di: 
Jacopo Dall'Aglio
05/07/2007



 

Formatisi nel lontano 1967, i Chicago hanno rappresentato una parte della storia del Rock internazionale, affrontando generi diversi come Progressive Rock, Jazz Rock e Soft Rock. La formazione americana, giunta al 2007, si racconta a RockLine.it attraverso il chitarrista e polistrumentista Bill Champlin...


J.A. - Ciao Bill! Questa è una domanda che porrò a tutti i musicisti con cui potrò parlare. Tu sei il primo. Puoi parlarci di quello che è abitualmente chiamato “showbiz”, dei suoi meriti e dei suoi difetti e di come l'hai vissuto in prima persona?

Bill - Il termine “showbiz” è di solito disprezzato dai musicisti. In genere significa intrattenimento, per esempio nella recitazione, nella danza, nella moda e in tutte le altre cose che solitamente nascondono i musicisti dietro un paravento mentre voi scuotete le vostre braccia per aria come per dire “Ehi! guardami!”. In contrasto con la mia opinione a riguardo, ho dedicato la mia intera vita a quello che viene comunemente definito “showbiz”. Per me significa che vieni pagato per stare su un palco fare quello che fai; quello che faccio io è suonare musica, quello che fa qualcun'altro è forse raccontare barzellette o qualcosa d'altro. Semplicemente il termine racchiude l'intero business dell'esibirsi in qualcosa; lo stesso per gli avvocati, gli agenti, i manager, gli autisti delle corriere, gli operai del palco eccetera eccetera.

J.A. - Come musicista solista hai prodotto diversi lavori, e anche con la tua altra band i Sons Of Champlin. Puoi parlarci un po' di come l'entrata nei Chicago ha cambiato le tue priorità, se così è stato?

Bill - Nel lavoro solista che ho fatto e nella musica coi Sons of Champlin utilizzo di solito la mia musica, per lo più inedita o nuovi arrangiamenti di vecchie canzoni, nei Chicago invece ci sono le canzoni di qualcun altro. Spendo più tempo coi Chicago perché c'è più lavoro disponibile in quella band; non ha nulla a che fare con quello che mi piace di più o quale musica preferisco suonare, anche se a volte, che tu ci creda o no, è la musica dei Chicago. Hanno un grande repertorio con dentro buone cose.

J.A. - Come definiresti il tuo stile nel suonare la chitarra?

Bill - Non sono un chitarrista di professione, quindi la domanda mi stupisce. La maggior parte delle persone non sa nemmeno che suono la chitarra. Risponderò comunque. Provengo da due o tre diversi mondi della chitarra. 1) Il finger method, una specie di stile folkeggiante, o forse quasi country.
2) Il blues, sono un grande fan di Albert King, di Stevie Ray Vaughan, e di quello che ha iniziato tutto, il VERO re, Freddie King. Quando faccio un assolo provo, almeno provo, di avere il feeling di uno di questi ragazzi.
Non m'interesso molto dell'influenza rock nel blues, anche se Eric Clapton nell'album “John Mayall's Bluesbreakers” ha iniziato a scuotersi. Amo B.B. King ma più come cantante che come chitarrista, sebbene sia un buon chitarrista: ha un ottimo fraseggio come cantante e chitarrista. Poi, Hendrix è stato un precursore e mi piace, ma non voglio nemmeno tentare di andare lì, perchè semplicemente NON POSSO. Quando cominciano a fare il loro gioco io di solito vado in punta di piedi all' Hammond B-3 e mi ci aggrappo.

J.A. - Spazio ora alla domanda banale dell'intervista. Che cosa ascoltavi e quindi cosa ti ha maggiormente influenzato nei primi anni della tua carriera, e ancor prima?

Bill - Mi piaceva davvero Elvis quando ero un ragazzino, da un po' più vecchio la musica folk, di qui le cose nello stile del finger method per chitarra, poi la musica pop fino a che non ho scoperto il blues quando avevo 15 anni. Tutto ciò sopra un amore per il jazz nato quand'ero molto giovane: mia madre era un'appassionata di jazz. Quando ho cominciato a cantare mi piaceva lo stile di Lou Rawls, e da lui un sacco di altri milioni di cantanti che glielo avevano rubato, fino a che non ho rubato anch'io così tanti pezzi che ho dimenticato chi ho fregato e così ho dato a alla luce un mio stile personale. Un amico una volta mi ha detto: “Continua a rubare e continuerai a crescere”. Ho capito che se fai così hai una possibilità in più di essere notato cantando, o suonando. Conoscevo un ragazzo che era un grande cantante, e ha emulato Kenny Loggins per anni, e poi un giorno diventò Luther Vandross. È fantastico che abbia potuto farcela e se avessi voglia di ascoltarli potrei comprare le LORO registrazioni. Comunque, da un certo punto in poi ho imparato più dai sassofonisti come King Curtis e Junior Walker che dai cantanti, e ancora adesso sgraffigno qualcosa se è buona, e veramente non m'interessa, chiunque sia. Se è buono è mio ora.

J.A. - Dal punto di vista live, quali sono stati i concerti più entusiasmanti e che ti hanno dato maggiori soddisfazioni per te? In particolare coi Chicago, ma anche nelle tue altre esperienze.

Bill - Una volta ho suonato ad un concerto dove i Sons of Champlin stavano suonando con gli Yardbirds e B.B. King. B.B. Stava per usare il mio organo Hammond e ci ha attaccato il pedale da basso e ha fatto la sua scaletta con Duke Jethro all'organo e ai pedali da basso, proprio come hanno suonato la prima volta che ho ascoltato la B.B. King Band. Ho inserito il fusibile nel mio B-3 (l'organo N.d.R.) e B.B. aveva bisogno di un bassista e quello della mia band non sapeva nemmeno chi fosse B.B.. Ho preso il basso e sono sceso sul palco dai camerini e ho suonato l'intera scaletta con la band di B.B.. Il batterista, Sonny Freeman, ha fatto uno dei migliori shuffle (ritmo Blues N.d.R.) del mondo e io ho vissuto la più bella esperienza musicale della mia vita, e non sono un grande bassista. Ma ero al massimo quella notte. Era perfetto. Non lo dimenticherò mai. B.B. È stato un vero gentleman e una persona veramente amichevole, è l'ambasciatore del blues.

J.A. - Spesso hai collaborato coi media nella tua carriera, per esempio per lo show Fridays. Ci parleresti di queste tue esperienze?

Bill - Ho fatto molta televisione nella mia carriera, e la cosa fandamentale è che TV e musica non vanno d'accordo. Non è che non possano andare d'accordo, ma di solito i registi e i produttori sono così interessati più della parte visuale che di quella acustica che i live in televisione di solito sono belli da vedere ma suonano male. “Fridays” fu un po' meglio. Il gruppo che avevo durante questo show era così potente che ho distrutto le mie corde vocali durante le prove perchè ce la stavo mettendo tutta. Diamine, che band. Forse la prossima volta cercherò di salvare le mie corde vocali per il concerto e non di soffiarmele via prima. Bè, vivi e impara. I videoclip non hanno niente a che vedere con la musica. Una cosa che molti non sanno è questa: “Se devi sincronizzare il labiale devi cantare realmente così non sembra che tu stia solo muovendo le labbra”. Mi sono sfiancato la voce più così che effettivamente cantando in un concerto.

J.A. - Hai collaborato anche con grandi artisti come George Benson, di cui andrò a sentire a breve un concerto! Hai co-scritto la canzone Turn Your Love Around, com'è stato lavorare con lui?

Bill - George non è solamente il miglior chitarrista del mondo, o almeno nella top 3, ma è secondo me anche uno dei migliori cantanti. È stato un bel periodo quello durante il quale ho lavorato con George. Quello che abbiamo fatto per il CD di George è stato prodotto da Jay Graydon, e ogni volta che vedevo George mi impressionava da quanto era professionale e, pur con tutte le congratulazioni che riceveva, lui è per la musica, sempre. Alcune persone trasudano musica e lui è una di queste. Che musicista...wow! Il migliore.

J.A. - Parliamo un po' dei Chicago. Il vostro ultimo album dell'anno passato è stato il primo con nuovo materiale dopo 15 anni! Che risultati ha avuto, non solo economicamente, ma anche per voi come formazione?

Bill - Sì lavora per i Chicago da 30 anni e mezzo fa. È stato un grande impegno e realizziamo la maggior parte del montaggio a Nashville; al tempo abitavo a Los Angeles, e l'album passava molto tempo fuori città. Abbiamo lavorato, l'abbiamo mixato, è stato pubblicato, non è andato così bene come avremmo voluto ma, bè, questo è lo shiwbiz.

J.A. - Sicuramente la vostra hit più famosa e di più successo è If You Leave Me Now, davvero una bella canzone, semplice ma efficace. C'era Peter Cetera alla voce, quanto influiva la sua voce sul vostro successo? E come mai se n'è andato nel 1985?

Bill - Risponderò solo a qualcuna di queste domande. Mi sono unito alla band nel 1981 e la maggior parte delle tue domande riguarda un periodo precedente. Penso di aver portato l'R&B nel gruppo. La voce di Peter è grandiosa ma non c'entra nulla col successo che ho avuto come cantante. Il suo impatto nella carriera dei Chicago è stato considerevole, ma il mio stile di canto è quello che ho dovunque ed è ciò per cui le persone mi conoscono. Mi dispiace, ma non posso parlare per i Chicago perchè non c'ero in quegli anni di cui sei curioso.

J.A. - Un'ultima banalità. Qual è la tua canzone preferita, prima in generale, poi tra quello che hai composto o delle quali hai collaborato alla composizione?

Bill - Ho due canzoni pop preferite.
1) The Living Years di Mike Rutherford (Mike & the Mechanics), una delle canzoni più profonde che abbia mai sentito, la voce di Paul Carrack è bella e molto soul e mi ha aiutato quando mio padre non fu più, mi è entrata dentro e mi ha socchiuso la mente.
2) After the Love Has Gone, la progressione di David Foster è uno dei suoi risultati migliori, e penso che le melodie e il testo stiano bene nella canzone. La progressione di Jay Graydon nell'assolo è perfetta e ritengo che Maurice White l'abbia cantata veramente bene. Ehi, me ne hai chiesta una delle mie, c'è.

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